Urbanistica.Impianti di produzione di energia elettrica in area agricola

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Urbanistica.Impianti di produzione di energia elettrica in area agricola

Studio Volpicelli
Pubblicato da Lexambiente in Energia elettrica · Lunedì 23 Ott 2023
Urbanistica.Impianti di produzione di energia elettrica in area agricola
Consiglio di  Stato n. 8284 del Sez. IV 12 settembre 2023


La disposizione recata dall’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui “Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. [...]”, va infatti rettamente intesa nel senso che tra i principi della materia in esame vi sono certamente quello della compatibilità con le zone “classificate agricole dai vigenti strumenti urbanistici” nonché quello relativo alla massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, con conseguente limitazione della potestà regionale alla sola individuazione di specifici siti non idonei. Secondo le Linee Guida Statali “L’individuazione delle aree non idonee dovrà essere effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le modalità indicate al paragrafo 17 e sulla base dei seguenti principi e criteri [...]” (Allegato 3, par. 17). Tuttavia, tali disposizioni vanno coniugate con quelle che allo stesso tempo richiedono, per gli impianti realizzabili mediante PAS (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2011) ovvero senza alcun titolo abilitativo (art. 6, comma 11, del medesimo decreto), la conformità agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi. La deroga è quindi in tal caso ipotizzabile in ordine alle sole disposizioni in materia di azzonamento ma non relativamente agli altri parametri edilizi che caratterizzano la zona agricola.



Pubblicato il 12/09/2023

N. 08284/2023REG.PROV.COLL.

N. 09996/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9996 del 2020, proposto dall’avvocato Emanuele Vespaziani, rappresentato e difeso da sé medesimo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via Tacito n. 23;

contro

la società Beta Bioenergy s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avvocato Cesare Mainardis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Comune di Rieti, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione seconda) n. 12895/2020, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Beta Bioenergy s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 luglio 2023 il consigliere Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti, come da verbale.


FATTO e DIRITTO

1. La vicenda in esame trae origine dalla dichiarazione presentata dalla società Beta Bioenergy s.r.l. il 30 giugno 2017, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, al fine di realizzare un impianto a biomassa per la produzione di energia elettrica, di potenza pari a 196 Kw.

La sede di installazione è stata individuata presso il Comune di Rieti, in zona agricola E1, classificata quale “paesaggio agrario di valore”, ai sensi dell’art. 25 del PTPR della Regione Lazio.

1.1. Il Comune di Rieti non ha esercitato il potere di inibire l’attività ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.lgs, n. 28 del 2011 e, con atto dell’8 novembre 2018, ha anche rigettato la richiesta di intervento in autotutela proposta dall’odierno appellante, che è proprietario di una villa con terreno circostante all’area interessata dall’impianto.

1.2. Contro tale provvedimento l’appellante ha proposto un primo ricorso innanzi al T.a.r. per il Lazio (n.r.g. 13883 del 2018), chiedendone l’annullamento sulla base di cinque mezzi (estesi da pag. 6 a pag. 14 del ricorso di primo grado).

1.3. Con atto del 9 agosto 2019 il Comune ha poi spontaneamente annullato in autotutela gli effetti della dichiarazione abilitativa semplificata, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Contro tale provvedimento, la società Beta Bionergy ha proposto ricorso innanzi al T.a.r. per il Lazio (n.r.g. 13538 del 2019), sulla base di tre mezzi di gravame (estesi da pag. 3 a pag. 10 del ricorso di primo grado)

In questo giudizio l’odierno appellante ha anche esperito ricorso incidentale con domanda riconvenzionale, finalizzata ad accertare che la società non avrebbe potuto avvalersi della procedura semplificata ai fini della realizzazione dell’impianto.

2. Il T.a.r , previa riunione dei due ricorsi:

- ha accolto il ricorso n.r.g. 13538 del 2019 e ha annullato l’atto prot. 42016 del 9 agosto 2018 relativo all’annullamento in autotutela della PAS;

- ha rigettato il ricorso incidentale;

- ha rigettato il ricorso n. 13883 del 2018.

3. L’appello dell’avvocato Vespaziani, rimasto integralmente soccombente, è affidato ai seguenti motivi:

I. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dell’articolo 6 del d.l.gs. 28 del 2011.

L’appellante censura il fatto che il T.a.r. si sia discostato dal principio di diritto affermato da questa Sezione con la sentenza 22 marzo 2017, n. 1298, secondo la quale, dall’astratta possibilità per le Regioni di consentire in sede di autorizzazione unica la realizzazione degli impianti nelle zone agricole, non potrebbe desumersi che in tali zone sia possibile realizzare gli impianti FER tramite la procedura abilitativa semplificata in deroga alla relativa disciplina.

Secondo l’appellante, tale esito interpretativo è sostanzialmente abrogativo del requisito richiesto dalla legge per l’accesso alla procedura semplificata.

La localizzazione dei microimpianti in zona agricola finirebbe in tal modo per non esser sottoposta ad alcun effettivo parametro urbanistico ed edilizio.

Nel caso in esame, ad esempio, l’intervento in progetto risulta del tutto difforme dai parametri urbanistici ed edilizi richiesti dall’art. 55 della l.r. 38 del 1999 per l’edificazione in zona agricola nella Regione Lazio.

II. Violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 c.p.c., dell’articolo 35, comma 1°, lettera b) c.p.a., nonché degli articoli 19 e 21 nonies della Legge n. 241 del 1990.

Secondo l’appellante, una volta accertato che per la realizzazione del progetto presentato da Beta Bioenergy era necessaria l’autorizzazione unica, il T.a.r. avrebbe dovuto respingere anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso n.r.g. 13538/2019 proposto dalla Beta Bioenergy.

Sarebbe, infatti, applicabile l’orientamento giurisprudenziale in materia di S.c.i.a. edilizia, secondo cui tale strumento non può fornire legittimazione alcuna alla realizzazione di interventi per cui è necessario il permesso di costruire.

III) In ogni caso, violazione dell’articolo 6, comma 2°, del d.lgs. n. 28 del 2011. Erronea ed insufficiente ricostruzione della fattispecie concreta.

Con il quinto motivo del proprio ricorso n.r.g. 13883/2018 l’odierno appellante aveva lamentato che la PAS era stata presentata in mancanza di disponibilità dell’area necessaria per la realizzazione dell’intervento e delle opere connesse, ed in particolare del cavidotto necessario per il collegamento tra la centrale di produzione elettrica e la rete elettrica.

Secondo il T.a.r., il contratto di locazione stipulato dalla società si estenderebbe anche “a quanto necessario per l’integrale esecuzione dell’opera, compreso il posizionamento del cavidotto”.

Tuttavia dalla stessa documentazione prodotta in primo grado dalla società avrebbe potuto evincersi, al contrario, la necessità di acquisire la servitù attiva di elettrodotto a carico del fondo servente, indicato nella strada vicinale.

4. Si è costituita, per resistere, la società Beta Bioenergy s.r.l.

5. Le parti hanno quindi depositato ulteriori memorie, in vista della pubblica udienza del 20 luglio 2023 alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.

6. Nell’ordine logico delle questioni vengono in rilievo quelle oggetto del ricorso di primo grado n. 13538 del 2019.

Al riguardo, va anzitutto corretta la motivazione resa dal primo giudice il quale ha ritenuto in sostanza che gli impianti minori, mediante la procedura abilitativa semplificata, possano essere autorizzati anche in deroga alla disciplina delle zone agricole.

La disposizione recata dall’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo cui “Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. [...]”, va infatti rettamente intesa nel senso che tra i principi della materia in esame vi sono certamente quello della compatibilità con le zone “classificate agricole dai vigenti strumenti urbanistici” nonché quello relativo alla massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, con conseguente limitazione della potestà regionale alla sola individuazione di specifici siti non idonei.

Secondo le Linee Guida Statali “L’individuazione delle aree non idonee dovrà essere effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, secondo le modalità indicate al paragrafo 17 e sulla base dei seguenti principi e criteri [...]” (Allegato 3, par. 17).

Tuttavia, tali disposizioni vanno coniugate con quelle che allo stesso tempo richiedono, per gli impianti realizzabili mediante PAS (art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2011) ovvero senza alcun titolo abilitativo (art. 6, comma 11, del medesimo decreto), la conformità agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi.

La deroga è quindi in tal caso ipotizzabile in ordine alle sole disposizioni in materia di azzonamento ma non relativamente agli altri parametri edilizi che caratterizzano la zona agricola.

7. Le considerazioni che precedono non sono tuttavia sufficienti ad accogliere l’appello.

Non è stato infatti adeguatamente censurato dall’appellante il capo della sentenza con cui il T.a.r. ha accolto il secondo e il terzo motivo articolati in primo grado dalla società Beta Bioenergy (cfr. il par. 12 “Una volta ritenuto che l’opera potesse essere avviata sulla base della procedura abilitativa semplificata, risultano fondati anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso di Beta Bioenergy. Il Comune, in difetto di attività vincolata, avrebbe dovuto comunicare alla ricorrente l’avvio del procedimento di autotutela (secondo motivo), e avrebbe dovuto motivare adeguatamente sull’interesse pubblico sottostante all’annullamento (del, quale, peraltro, mancavano i presupposti di legge”).

La società si era in particolare doluta del fatto che il Comune, nel proprio intervento in autotutela, non avesse in alcun modo messo in luce quale fosse l’interesse pubblico all’annullamento dell’autorizzazione dell’impianto, tenuto conto non solo dell’affidamento maturato nel frattempo dalla società, ma soprattutto del fatto che nella fattispecie viene in rilievo anche l’interesse pubblico, di matrice europea, alla massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili (cfr., sul punto, la sentenza della Sezione n. 2983 del 2021).

In sostanza, l’Amministrazione non ha dato alcuna spiegazione della prevalenza attribuita, nel caso in esame, all’interesse pubblico all’ordinato assetto edilizio rispetto a quello, parimenti degno di tutela, relativo all’incentivazione della produzione di energia rinnovabile.

7.1. Al riguardo, non può condividersi l’argomento dell’appellante secondo cui, indipendentemente dall’annullamento dell’intervento in autotutela, l’impianto rimarrebbe in ogni caso abusivo perché avrebbe potuto essere legittimato solo attraverso il rilascio dell’autorizzazione unica.

7.1.1. In linea generale, giova ricordare che, secondo l’art. 4 del d lgs. n. 28/2011 “Al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi di cui all'articolo 3, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione” (comma 1).

Secondo il testo della citata disposizione, vigente ratione temporis, “L'attività di cui al comma 1 è regolata, secondo un criterio di proporzionalità:

a) dall'autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 5 del presente decreto;

b) dalla procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6; ovvero

c) dalla comunicazione relativa alle attività in edilizia libera di cui all'articolo 6, comma 11”.

Nel caso della c.d. PAS, l’art. 6, comma 4, dispone che l’attività “deve ritenersi assentita” se il Comune non interviene a vietarla entro il termine prefissato dalla presentazione dell’istanza; al successivo comma 11 si prevede invece che per gli interventi minori valga il regime della “comunicazione relativa alle attività in edilizia libera”.

Nel primo caso, quindi, si è in presenza di un silenzio assenso; nel secondo di un atto privato.

In sostanza, l’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 disciplina due istituti, il primo dei quali risponde ad una ratio di semplificazione amministrativa, mentre il secondo rappresenta una vera e propria liberalizzazione, con conseguente collocazione dell’attività privata fuori dal perimetro del regime amministrato a controllo preventivo.

Solo in tale ultimo caso, pertanto, la dichiarazione del privato determina l’effetto di rendere una determinata attività privata lecita, secondo il meccanismo proprio della S.c.i.a. (cfr., da ultimo, la sentenza della Sezione, n. 130 del 2023).

7.1.2. Nel caso in esame, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto hanno formato oggetto di un titolo originariamente illegittimo (poiché non sussisteva la piena conformità urbanistica del progetto), ma che certamente non poteva essere considerato tamquam non esset.

Esso era infatti comunque idoneo a consentire, fino all’eventuale annullamento in autotutela, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto.

Come già evidenziato, l’intervento in autotutela è stato tuttavia viziato dall’omesso bilanciamento tra l’affidamento del privato e gli interessi pubblici in gioco tra i quali viene in rilievo non solo la tutela del territorio ma anche il particolare favor riconosciuto alle fonti energetiche rinnovabili dalla disciplina interna e sovranazionale.

8. Per quanto concerne il ricorso di primo grado n. 13883 del 2018, va poi accolta l’eccezione di inammissibilità riproposta dalla società Beta Bioenergy.

La domanda di annullamento del primo diniego di autotutela adottato dal Comune è stata infatti interposta dopo più di due anni dalla formazione “per silentium” del titolo abilitativo.

Quest’ultimo, a sua volta, non è mai stato impugnato dall’odierno appellante, nemmeno unitamente al ricorso avverso il diniego di autotutela.

È bene precisare che lo statuto della tutela del terzo è, nel caso in esame, differente rispetto a quanto si verifica in ordine alla S.c.i.a. edilizia poiché, come già sopra evidenziato, secondo quando espressamente stabilito dall’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 28 del 2011, la PAS comporta la formazione di un titolo abilitativo, sia pure “per silentium” (“ [...] Se il Comune non procede ai sensi del periodo precedente, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione di cui comma 2, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita”.

A differenza di quanto stabilito dal successivo comma 11 in caso di “c.i.l.a.”, non si tratta quindi di un atto privato non direttamente impugnabile dal privato controinteressato ma di una fattispecie di silenzio assenso, che come tale dà luogo ad un provvedimento tacito impugnabile (cfr. le sentenze della Sezione nn. 4383/2020 e 2526/2019).

Al riguardo, va ricordato che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere sulle richieste di esercizio del potere di autotutela verso atti divenuti inoppugnabili giacché, diversamente opinando, si eluderebbe l’onere legale di impugnazione nei termini decadenziali posti dalla legge a tutela della stabilità dell'assetto degli interessi pubblici sottesi al concreto esercizio della funzione pubblica; in questi casi, conseguentemente, l’impugnativa del diniego di autotutela è inammissibile, in coerenza con il principio generale della impossibilità di assicurare tutela all’interesse strumentale se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge (Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2022, n. 6915; cfr. anche la sentenza n. 2622 del 2021).

Ad ogni buon conto - quand’anche fosse stato applicabile il regime proprio della S.c.i.a. edilizia, essendo ormai decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio da parte del Comune - l’intervento in autotutela da parte di quest’ultimo avrebbe potuto essere giustificato solo da un interesse pubblico prevalente il quale (come già evidenziato) non è stato tuttavia individuato dall’Amministrazione neanche quando, successivamente, si è determinata spontaneamente ad intervenire in autotutela.

8.1. Per la stessa ragione, risulta inammissibile anche la domanda di accertamento proposta dall’odierno appellante con ricorso incidentale nell’ambito del ricorso di primo grado n.r.g. n. 13538 del 2019.

Essa è infatti sostanzialmente elusiva dell’onere di impugnazione del titolo abilitativo tacito, non tempestivamente assolto dall’appellante.

9. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto, e la sentenza impugnata va confermata, sia pure correggendone ed integrandone la motivazione nei sensi sopra precisati.

La complessità della vicenda contenziosa, induce peraltro a ravvisare la sussistenza dei presupposti di legge per la compensazione integrale tra le parti delle spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, n. 9996 del 2020, di cui in epigrafe, lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF


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