Rifiuti.Esclusione dalla disciplina generale
Pubblicato da Lexambiente in Rifiuti · Lunedì 30 Ott 2023
Rifiuti.Esclusione dalla disciplina generale
Cass.Pen. Sez. III n. 42237 del 17 ottobre 2023 (UP 14 set 2023)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Bonfè ed altri
Quando un materiale (asseritamente) non rientra nel novero dei rifiuti, perché, ad esempio, è compreso tra quelli esclusi dalla disciplina di settore dall'art. 185 d.lgs. 152/06, oppure rientra tra i sottoprodotti o, comunque, nell'ambito di applicazione di disposizioni aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, occorre dimostrare che sussistono i presupposti per tale diversa qualificazione e l'onere della prova, come ripetutamente stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, grava su ne invoca l'applicazione.Tale prova, inoltre, deve riguardare la sussistenza di «tutti» i presupposti previsti dalla legge, in assenza dei quali il materiale resta sottoposto alla disciplina generale in materia di rifiuti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 02/11/2022, il Tribunale di Rimini condannava Bonfè Giuseppe Fausto e Mattei Maurizio in ordine al reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), d.lgs. n. 152/2006 (Capo A), alla pena di euro 1.800,00 di ammenda, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonché le Società Icles s.r.l. e Impresa Mattei – Lavori edili e stradali s.r.l. alla sanzione amministrativa pecuniaria di euro 15.450,00 euro (pari a 150 quote da 103 euro ciascuna) in ordine all’illecito amministrativo da reato di cui all’articolo 25-undecies, comma 2, lettera b), n. 1), d. lgs. n. 231/2001 (Capo B). Fatti commessi in Rimini e Verucchio, in epoca successiva al gennaio 2017.
2. Avverso tale sentenza gli imputati e gli enti propongono, tramite i rispettivi difensori di fiducia, ricorso per cassazione.
2.1. Il ricorso di Bonfè Giuseppe Fausto a firma dell’Avv. Mauro Crociati del Foro di Rimini.
2.1.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla omessa dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, nonostante l’esplicita richiesta delle difese in tal senso verbalizzata, sebbene in via subordinata rispetto alla principale pretesa assolutoria.
Sostiene il ricorrente che, a tutto voler concedere, la condotta del Bonfè si sarebbe esaurita nell’ottobre del 2015 con l’uscita delle terre da scavo dal proprio cantiere ed affidamento delle stesse, in totale autonomia, al Mattei. In ogni caso, anche a voler considerare la data di inoltro della notizia di reato in Procura (3 agosto 2017), trattandosi di reato istantaneo, alla data della sentenza (02/11/2022) il reato sarebbe comunque stato prescritto.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla assenza di motivazione:
a) sulla qualificazione delle terre e rocce da scavo quali rifiuti;
b) in ordine alla omessa valutazione, anche in termini critici, della copiosa documentazione fornita dalla difesa;
c) in ordine alla ritenuta assenza di qualsivoglia responsabilità in capo al Bonfè, che aveva conferito la totale gestione delle terre da scavo del cantiere sito in Rimini, Via Covignano, mediante contratto di appalto, alla società del Mattei, autorizzata al trasporto dei rifiuti CER 170504; né indicazioni di senso contrario si potrebbero trarre dall’introduzione, per effetto del d.l. 92/2015, del c.d. «produttore in senso giuridico» dei rifiuti, soprattutto in considerazione del fatto che con il d.m. 120/2017 il legislatore ha approntato, specificamente per le terre e rocce da scavo, una definizione autonoma di produttore;
d) in ordine alla omessa considerazione del solo Mattei quale «produttore» delle terre e rocce da scavo ai sensi del d.m. 120/2017;
2.1.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla condotta di «recupero» dei rifiuti ascritta al ricorrente, in riferimento:
1) all’assenza di motivazione in ordine al contributo causale apportato dall’imputato alla condotta posta in essere dal Mattei, consistenti nel riempimento – oltre un anno dopo il conferimento delle terre allo stesso - del laghetto sito in Verucchio, Via Tenuta;
2) all’assenza di motivazione in ordine alla stessa conoscenza, in capo al Bonfè, delle operazioni di recupero poste in essere dal Mattei.
2.2. Il ricorso della società ICLES srl a firma dell’Avv. Annamaria Grimaldi del Foro di Rimini.
2.2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse o vantaggio in capo all’ente in riferimento alla commissione del reato presupposto, nonché in ordine alla sussistenza di una colpa di organizzazione della società, sia in ragione dell’esiguità del vantaggio (mero risparmio di spesa) che della episodicità del fatto.
La sentenza, inoltre, non spende una parola neppure per affermare la presenza o meno dei modelli di organizzazione e gestione di cui al d. lgs. 231/2001.
2.2.2. Il secondo motivo, con cui lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione, è sovrapponibile al motivo avanzato dal Bonfè, di cui al punto 2.1.2.
2.2.3. Il terzo motivo, con cui lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione, è sovrapponibile al motivo avanzato dal Bonfè, di cui al punto 2.1.3.
2.2.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine:
a) alla qualificazione delle terre e rocce da scavo quali rifiuti e non quali sottoprodotti o semplice «terra vergine», escluse pertanto dall’applicazione della normativa sui rifiuti, anche alla luce delle controanalisi eseguite dalla ditta del Mattei;
b) all’inattendibilità delle analisi eseguite da ARPA oltre un anno dopo, peraltro su campioni potenzialmente contaminati dai restanti 3.600 mc di terreno provenienti da altro sito.
2.3. Il ricorso di Maurizio Mattei, a firma dell’Avv. Gianni Scena del Foro di Rimini.
2.3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione delle terre e rocce da scavo quali rifiuti dei materiali di cui al Capo A), essendosi il giudice limitato a indicare un precedente giurisprudenziale da cui si dedurrebbe che l’onere della prova in ordine alla presenza dei requisiti per considerare come sottoprodotto una sostanza che originariamente è rifiuto incombe sul produttore, senza effettuare alcuna verifica in concreto, pur in presenza di analisi eseguite su richiesta della Impresa Mattei sui materiali in contestazione, da cui si evinceva la conformità dei materiali alla disciplina dei sottoprodotti. Né, del resto, la pronuncia impugnata dice nulla in ordine alla ritenuta assenza dei requisiti «formali» per la qualifica di tale materiale come sottoprodotto.
2.3.2. Con il secondo motivo, lamenta difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di trasporto e recupero dei rifiuti.
La ditta Mattei era iscritta sin dal dicembre 2012 all’Albo nazionale dei gestori ambientali ed autorizzata ad eseguire trasporti in conto proprio dei materiali in imputazione. Né dalla sentenza è dato evincere se il giudice abbia ritenuto che detto materiale sia stato prodotto da terzi, ossia dalla ditta del Bonfè.
Analogamente, alcuna parola viene spesa per qualificare la condotta di riempimento del laghetto come «recupero», con vizio totale di motivazione.
Ancora, è stata acquisita in atti la dichiarazione del 21/12/2016 con cui la ditta Mattei rappresentava che i materiali in rubrica erano stati portati presso il cantiere di via Tenuta, ma non è stata presa in considerazione dalla sentenza.
2.3.3. Con il terzo motivo, lamenta erronea applicazione della legge penale e segnatamente dell’articolo 256 d. lgs. 152/2006, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la condotta di trasporto abusivo di rifiuti.
Si trattava, con ogni evidenza, di rifiuti prodotti dalla impresa del Mattei, cui era stata appaltata l’opera di scavo, e di trasporto eseguito in conto proprio, per cui la ditta era autorizzata.
2.4. Il ricorso della Impresa Mattei – Lavori edili e stradali srl, a firma dell’Avv. Luca Greco del Foro di Rimini.
2.4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione delle terre e rocce da scavo quali rifiuti dei materiali di cui al Capo A).
Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile ai motivi di cui ai punti 2.2.4 e 2.3.1.
2.4.2. Con il secondo motivo, lamenta difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di trasporto e recupero dei rifiuti. Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile ai motivi di cui al punto 2.3.2.
2.4.3. Con il terzo motivo, lamenta erronea applicazione della legge penale e segnatamente dell’articolo 256 d. lgs. 152/2006, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la condotta di trasporto abusivo di rifiuti. Il motivo è sostanzialmente sovrapponibile al motivo di cui al punto 2.3.3.
2.4.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse o vantaggio in capo all’ente in riferimento alla commissione del reato presupposto, nonché in ordine alla sussistenza di una colpa di organizzazione della società, sia in ragione dell’esiguità del vantaggio (mero risparmio di spesa) che della episodicità del fatto.
Il motivo è sostanzialmente analogo a quello avanzato dalla difesa della società ICLES srl al punto 2.2.1.
2.4.5. Con il quinto motivo, lamenta mancanza di motivazione in ordine alle modalità di computo della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata all’ente, in misura superiore al minimo edittale.
3. In data 3 agosto 2023 l’Avv. Luca Greco del Foro di Rimini depositava memoria di replica ex art. 611 cod. proc. pen. in favore della ditta Mattei.
Contestava, in primo luogo, l’asserita infondatezza del ricorso in riferimento alla mancanza di comunicazione relativa agli ulteriori 1.200 mc di materiale provenienti dalla ditta ICLES, riferendo lo stesso al merito del reato presupposto e non alla colpa organizzativa dell’ente.
Analogamente, contesta che la asserita natura dolosa del reato contravvenzionale presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente medesimo possa tradursi automaticamente in una colpa di organizzazione.
Da ultimo, evidenzia come la motivazione relativa alla sussistenza di un interesse o vantaggio per l’ente avrebbe dovuto essere fornita dalla sentenza impugnata, e non dal Procuratore generale in sua vece.
Insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso del Bonfè è fondato, sia pure per motivi differenti da quelli coltivati.
Appare infatti evidente, dal testo stesso della sentenza impugnata, che alla data del 10 luglio 2017, epoca di prelevamento dei campioni dei rifiuti, il reato contestato fosse perfezionato mediante il riempimento del «laghetto»; pertanto, alla data di pronuncia della sentenza di primo grado (02/11/2022) il termine massimo di prescrizione era integralmente trascorso, non risultando dagli atti periodi di sospensione del corso della prescrizione.
La sentenza impugnata va quindi annullata senza rinvio nei confronti del Bonfè Giuseppe Fausto e, in estensione ex art. 587 cod. proc. pen., di Mattei Maurizio, essendo il reato estinto per prescrizione.
Ed infatti, l'inammissibilità dell'impugnazione non è di ostacolo, per l’imputato, ad avvantaggiarsi dell’effetto estensivo ; non impedisce, in altri termini, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante – coimputato nel medesimo reato - abbia proposto un valido atto di gravame, lucrando per sè la prescrizione e sempre che i motivi di ricorso di quest’ultimo non fossero personali (Sez. 2 - n. 189 del 21/11/2019 (dep. 2020 ) Rv. 277814 – 02; conf. Rv. 275403 – 01).
2. Il Collegio evidenzia, per la indubbia rilevanza che ciò proietta sulla responsabilità degli enti, come non sussistano al contrario elementi per un assoluzione nel merito in riferimento ai restanti motivi proposti dai due ricorrenti/persone fisiche.
Tratto comune di numerosi motivi di ricorso è infatti costituito sia dal vizio di mancanza assoluta di motivazione in ordine ad alcuni punti decisivi della contestazione, afferenti sia alla qualificazione giuridica del materiale oggetto, secondo l’imputazione, di trasporto e recupero abusivo, sia alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati anzidetti (articolo 256, comma 1, lettera a, d. lgs. 152/2006).
3. Doglianza comune a tutti i motivi di ricorso è in primo luogo costituita dalla erronea qualificazione dei materiali in imputazione quali rifiuti anziché quali sottoprodotti (punti 2.1.2, lettera a), 2.2.4, 2.3.1 e 2.4.1 delle premesse in fatto).
I motivi sono manifestamente infondati.
La materia delle terre e rocce da scavo è stata oggetto nel corso degli anni di numerose modifiche normative, l’ultima delle quali culminata nell’emanazione del d.m. 13 giugno 2017, n. 120, pubblicato in G.U. n. 183 del 7 agosto 2017, che ha abrogato il precedente d.m. n. 161/2012.
Il Collegio evidenzia come l’articolo 186 del TUA prevede che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati in presenza di una serie di concomitanti requisiti:
a) siano impiegate direttamente nell'ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;
b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell'integrale utilizzo;
c) l'utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;
d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;
e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del decreto;
f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare, deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d'uso del medesimo, nonché' la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata. L'impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all'articolo 183, comma 1, lettera p).
Ai sensi del comma 3, ove la produzione di terre e rocce da scavo avvenga nell'ambito della realizzazione di opere o attività non soggette a VIA ma a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività (come nel caso in esame), la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché' i tempi dell'eventuale deposito in attesa di utilizzo, che non possono superare un anno, devono essere dimostrati e verificati nell'ambito della procedura per il permesso di costruire, se dovuto, o secondo le modalità della dichiarazione di inizio di attività (DIA).
All’epoca dei fatti, era inoltre vigente l’articolo 41-bis della l. 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. 21 giugno 2013, n° 69 (successivamente abrogato dall’articolo 31-bis del d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120), il quale stabiliva che in relazione a quanto disposto dall'articolo 266, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale nel rispetto delle disposizioni comunitarie in materia), in deroga a quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161, i materiali da scavo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del citato regolamento, prodotti nel corso di attività e interventi autorizzati in base alle norme vigenti, erano sottoposti al regime di cui all'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, ossia dei sottoprodotti, se il produttore avesse dimostrato:
a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati;
b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale;
c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime;
d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.
Ai sensi del comma 2, il proponente o il produttore doveva attestare il rispetto delle condizioni di cui al comma 1 tramite dichiarazione resa all’Agenzia regionale per la protezione ambientale ai sensi e per gli effetti del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, precisando le quantità destinate all’utilizzo, il sito di deposito e i tempi previsti per l’utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione (il corsivo è del Collegio), salvo il caso in cui l’opera nella quale il materiale è destinato ad essere utilizzato preveda un termine di esecuzione superiore.
Le attività di scavo e di utilizzo devono essere autorizzate in conformità alla vigente disciplina urbanistica e igienico-sanitaria. La modifica dei requisiti e delle condizioni indicati nella dichiarazione di cui al primo periodo è comunicata entro trenta giorni al comune del luogo di produzione. 3. Il produttore deve, in ogni caso, confermare alle autorità di cui al comma 2, territorialmente competenti con riferimento al luogo di produzione e di utilizzo, che i materiali da scavo sono stati completamente utilizzati secondo le previsioni comunicate.
La disciplina è stata sostanzialmente confermata dal d.m. 120/2017, il quale prevede (art. 21) che per i cantieri di piccole dimensioni, quale quello in esame, la sussistenza delle condizioni di esclusione dalla disciplina dei rifiuti (previste dall'articolo 4) è attestata dal produttore tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con la trasmissione, anche solo in via telematica, almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo.
Nella dichiarazione il produttore indica le quantità di terre e rocce da scavo destinate all'utilizzo come sottoprodotti, l'eventuale sito di deposito intermedio, il sito di destinazione, gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere e i tempi previsti per l'utilizzo, che non possono comunque superare un anno dalla data di produzione delle terre e rocce da scavo, salvo il caso in cui l'opera nella quale le terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti sono destinate ad essere utilizzate, preveda un termine di esecuzione superiore.
Ad analoga comunicazione sono soggette le modifiche alle condizioni di utilizzo, ivi incluse quelle relative al sito di destinazione o al diverso utilizzo delle terre e rocce da scavo (comma .
2.1. Dalla disciplina vigente all’epoca dei fatti emerge con chiarezza che il produttore avrebbe dovuto, da un lato, inviare la comunicazione ex d.P.R. 445/2000 prima dell’inizio dei lavori (come si evince dall’obbligo di comunicare entro 30 giorni l’eventuale modifica delle condizioni; si veda sul punto Sez. 3, n. 34398 del 26/01/2021, Lunari); dall’altro, completare la procedura di riutilizzo entro un anno dalla produzione dei materiali, requisiti entrambi palesemente insussistenti nel caso di specie: come risulta dallo stesso ricorso, infatti, le terre scavate sono state riutilizzate almeno un anno e due mesi dopo la loro estrazione, e il loro riutilizzo è stato comunicato solo in calce alla dichiarazione relativa alle terre estratte in altro cantiere circa un anno dopo.
Questa Corte ha reiteratamente chiarito (v. da ultimo Sez. 3, n. 38862 del 05/07/2022, Lot, n.m.; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Rv. 263336) che l’applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo, nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull’imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria.
Tale interpretazione è ormai granitica nella giurisprudenza della Corte, che ha reiteratamente espresso il principio di carattere generale quello secondo cui, quando il materiale (asseritamente) non rientra nel novero dei rifiuti, perché, ad esempio, è compreso tra quelli esclusi dalla disciplina di settore dall'art. 185 d.lgs. 152/06, oppure rientra tra i sottoprodotti o, comunque, nell'ambito di applicazione di disposizioni aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, occorre dimostrare che sussistono i presupposti per tale diversa qualificazione e l'onere della prova, come ripetutamente stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, grava su ne invoca l'applicazione (v. Sez. 3, n. 47040 del 29/09/2022, De Marco; Sez. 3, n. 21587 del 17/3/2004, Marucci, n.m.; Sez. 3, n. 30647 del 15/06/2004, Dell'Angelo, n.m., in tema di deposito temporaneo; Sez. 3, n. 6107 del 17/1/2014, Minghini, Rv. 258860, in tema di impianti mobili adibiti alla sola attività di riduzione volumetrica e separazione delle frazioni estranee; Sez. 3, n. 17453 del 17/4/2012, Busè, Rv. 252385; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, non massimata; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504, in tema di sottoprodotti; Sez. 3 n. 48334 del 28/6/2017, Contili, n.m.; Sez. 3, n. 9954 del 19/01/2021, Volpe, Rv. 281587 - 04; Sez. 3, n. 15680 del 3/3/2010, Abbatino, n.m.; Sez. 3, n. 16078 del 10/3/2015, Fortunato, Rv. 26333601; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, Bastone Rv. 244784; Sez. 3, n. 37280 del 12/6/2008, Picchioni, Rv. 241087; Sez. 3, n. 9794 del 29/11/2006, dep. 2007, Montigiani, con riferimento alle terre e rocce da scavo; Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014 dep. 2015, Aloisio, Rv. 262159, in tema di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate; Sez. 3, n. 5504 del 12/1/2016, Lazzarini, Rv. 265839, in materia di residui vegetali).
Tale prova, inoltre, deve riguardare la sussistenza di «tutti» i presupposti previsti dalla legge; in proposito, Sez. 3, n. 34398 del 26/01/2021, Lunari, ha chiarito che necessita, ai fini dell'applicabilità della specifica disciplina, la coesistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge, in assenza dei quali il materiale resta sottoposto alla disciplina generale in materia di rifiuti (v. anche Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, in tema di rifiuti e costruzione e demolizione).
Del tutto irrilevante appare, quindi, la presenza di analisi di parte (peraltro effettuate dopo l’accertamento del reato, e non prima, come richiede la norma), che attestino l’assenza di contaminanti nelle terre scavate, non avendo i ricorrenti dimostrato la sussistenza di tutti i requisiti legali per l’applicazione della disciplina potiore.
Sia pure in modo estremamente sintetico, il giudice del merito ha quindi correttamente escluso che gli imputati avessero fornito la prova della sussistenza di tutti i requisiti per escludere il materiale in contestazione dalla disciplina delle terre e rocce da scavo, e comunque dei sottoprodotti, con la conseguenza che allo stesso resta applicabile la disciplina dei rifiuti.
3. Dalla applicazione della disciplina sui rifiuti discende la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso del Bonfè relativi alla natura «istantanea» del reato a lui ascritto (2.1.1), alla impossibilità di configurare il ricorrente quale «produttore» dei rifiuti (n. 2.1.2, lettere c) e d)) e alla nozione di «recupero» di rifiuti (punti 2.1.3, 2.2.3, 2.3.2 e 2.4.2 delle premesse in fatto).
3.1. In primo luogo, in tema di responsabilità nella catena della gestione dei rifiuti, l’articolo 188, comma 3, lettera a), del d. lgs. 152/2006, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, prevedeva che il principio della «responsabilità condivisa» nella gestione dei rifiuti si poteva ritenere superato nel caso di conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento, «a condizione che il produttore sia in possesso del formulario di cui all'articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, ovvero alla scadenza del predetto termine abbia provveduto a dare comunicazione alla provincia della mancata ricezione del formulario», onere a cui non hanno assolto gli imputati.
3.2. In secondo luogo, trova applicazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente Bonfè (v. par. 2.1.2 delle premesse in fatto), la nozione di produttore di rifiuti come comprendente anche «il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione», ossia il c.d. «produttore in senso giuridico» di rifiuti.
L’art. 1 della legge n. 125 del 2015 - che ha esteso la nozione di «produttore di rifiuti» di cui all'art. 183, comma 1, lettera t), del d.lgs. n. 152 del 2006 anche al produttore «giuridico» e non solo materiale del residuo da destinare allo smaltimento o al recupero. Ne consegue (v. Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, Radin) che per «produttore» di rifiuti deve intendersi non soltanto il soggetto dalla cui attività materiale sia derivata la produzione dei rifiuti, ma anche il soggetto al quale sia giuridicamente riferibile detta produzione ed a carico del quale sia quindi configurabile, quale titolare di una posizione di garanzia, l'obbligo di provvedere allo smaltimento dei detti rifiuti nei modi prescritti, sicché la responsabilità in ordine al complessivo iter di smaltimento o recupero, secondo quanto previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 183, comma 1, lettera f), e 188, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, rimane congiuntamente in capo al produttore giuridico, al produttore materiale, al detentore dei rifiuti e a chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (c.d. «nuovo produttore»).
3.4. All’applicazione della disciplina sui rifiuti consegue altresì l’applicazione della nozione di «gestione» degli stessi ai sensi dell’articolo 183, lettera n), d. lgs. 152/2006, che comprende la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento degli stessi.
Nel caso di specie, il ricorrente Mattei contesta che il giudice del merito abbia erroneamente attribuito all’attività svolta la qualifica di «recupero» di rifiuti.
In realtà, ai sensi della lettera s) del suddetto articolo 183, due sono i tipi di destinazione che possono avere i rifiuti, definiti dalla norma come «trattamento»: le operazioni di «recupero» o quelle di «smaltimento», definite alle successive lettere t) (qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale) e z) (qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l'operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia).
In entrambi i casi, per essere legittimamente svolte, le operazioni debbono essere autorizzate. Autorizzazione che, nel caso di specie, difetta (né i ricorrenti ne contestano l’assenza, focalizzando le loro doglianze sulla natura di sottoprodotto del materiale cavato).
La gestione dei rifiuti, pertanto, deve essere considerata come comprensiva di tutto il lasso temporale che va dalla loro produzione fino al loro recupero o smaltimento, che nel caso di specie è avvenuto in epoca anteriore e prossima al 10 luglio 2017, epoca di accertamento del fatto.
4. Il motivo di ricorso proposto da Mattei Maurizio con riferimento alla condotta di trasporto abusivo di rifiuti è infondato (punto 2.3.3 delle premesse in fatto).
Ed infatti, è vero che l’impresa Mattei era autorizzata al trasporto di rifiuti prodotti in proprio, quali sicuramente erano le terre escavate nel cantiere della ICLES.
E, tuttavia, la norma incriminatrice sanziona come unica violazione di legge ogni attività di «gestione» dei rifiuti compiuta in assenza di autorizzazione, comprensiva di «raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti». Nel caso di specie, come visto nei paragrafi che precedono, l’attività di trasporto risultava prodromica a quella di recupero, svolto senza autorizzazione.
Per risultando insussistente l’attività di trasporto illecito (né, in senso contrario, può attribuirsi rilievo allo svolgimento del trasporto in assenza di formulari di identificazione del rifiuto, condotta sanzionata solamente in via amministrativa dall’articolo 193 del testo unico), la condotta, complessivamente considerata, risulta connotata da illiceità.
Ed infatti, ai fini della sussistenza del reato di cui all’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006, laddove la complessiva attività di gestione del rifiuto sia parte di un unico processo produttivo (comportante, ad esempio, lo stoccaggio, il trasporto e il trattamento del rifiuto), a fronte di una pluralità di condotte sussiste una unica violazione di legge.
5. I motivi di ricorso avanzati dagli enti imputati di illecito amministrativo da reato sono fondati.
La sentenza impugnata non motiva, in alcun modo, né in punto di sussistenza o meno, in capo agli enti imputati, dei modelli di organizzazione e gestione di cui all’articolo 6 del d. lgs. 231/2001 (la cui adozione ed efficace attuazione limita in modo consistente l’ambito di responsabilità dell’ente anche per i fatti commessi dai c.d. «apicali», confinandola alla sola ipotesi di elusione fraudolenta dei modelli), né in ordine al requisito dell’«interesse» o «vantaggio» in capo agli stessi enti, che dall’imputazione risulterebbe connesso al risparmio di spesa conseguito per effetto del mancato smaltimento regolare del rifiuto, in tal modo risolvendosi in un automatismo, non consentito, tra commissione del reato presupposto e responsabilità dell’ente.
La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Rimini in diversa composizione fisica, per nuovo giudizio in ordine sia alla adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione da parte degli enti, che in ordine alla sussistenza di un interesse o vantaggio in capo agli stessi.
Il Collegio in proposito evidenzia come, ai sensi dell’articolo 22, comma 4, del d. lgs. n. 231/2001, qualora venga contestato agli enti l’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione dell’illecito amministrativo da reato rimane interrotta fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bonfè Giuseppe Fausto e Mattei Maurizio perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti della Soc. Icles srl e della Soc. Impresa Mattei – Lavori edili e stradali s.r.l. con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Rimini in diversa composizione fisica.