Rifiuti.Deposito incontrollato e durata della condotta
Pubblicato da Lexambiente in Rifiuti · Lunedì 27 Mag 2024
Rifiuti.Deposito incontrollato e durata della condotta
Cass. Sez. III n. 16710 del 22 aprile 2024 (UP 28 mar 2024)
Pres. Sarno Est. Galanti Ric. Menegotto
In caso di «deposito incontrollato», ossia di quella attività prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero (analoga allo stoccaggio ma precedente alla attività di gestione dei rifiuti), la relativa condotta si protrae nel tempo, perché implica una «custodia», integrando così un reato permanente che si esaurisce con la cessazione dell'antigiuridicità mediante il conseguimento della necessaria autorizzazione, ovvero con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti, con un provvedimento cautelare di natura reale, ovvero con la sentenza di primo grado, mentre, in assenza di provvedimento cautelare o di autorizzazione (e prima della sentenza di primo grado), la decorrenza della prescrizione deve essere individuata nel momento dell'accertamento nel quale è stata constatata la protrazione della situazione antigiuridica per la mancata rimozione dei rifiuti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15/05/2023, la Corte di appello di Trieste confermava la sentenza del Tribunale di Pordenone del 27/01/2022, che aveva condannato Marino Menegotto alla pena di mesi due di arresto ed € 1.800 di ammenda in relazione al reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), d. lgs. 152/2006, così riqualificata la contestazione delle lettere a) e b) della medesima disposizione, e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche.
2. Avverso il provvedimento l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell’articolo 157 cod. pen., ritenendo che il reato contestato fosse estinto per prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione della legge penale nella determinazione della pena. I giudici hanno riqualificato il fatto nel reato di cui all’articolo 256, comma 1, lettera a), d. lgs. 152/2006, che prevede la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda, mentre il ricorrente è stato condannato alla pena congiunta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Vero è che le Sezioni Unite della Corte hanno stabilito (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819 - 01) che «è ammissibile il ricorso per cassazione col quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.», e che «l’ammissibilità del ricorso non è pregiudicata dal fatto che il ricorrente, con le conclusioni rassegnate in appello, non ha eccepito la prescrizione maturata nel corso di quel giudizio; né alcuna rilevanza preclusiva all'ammissibilità dell'impugnazione può attribuirsi, in caso di prescrizione verificatasi addirittura prima della proposizione dell'appello, alla mancata deduzione di parte con i relativi motivi (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). L'art. 129 cod. proc. pen. impone al giudice, come recita la rubrica, l'obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità e a tale «obbligo» il giudice di merito non può sottrarsi e deve, ex officio, adottare il provvedimento consequenziale. Se a tanto non adempie, la sentenza di condanna emessa, in quanto viziata da palese violazione di legge, può essere fondatamente impugnata con atto certamente idoneo ad attivare il rapporto processuale del grado superiore, il che esclude la formazione del c.d. “giudicato sostanziale”».
Tuttavia, nell’ipotesi in cui – come nel caso in esame – il decorso del termine di prescrizione non sia stato dedotto con i motivi di appello, né sia stato oggetto di specifica richiesta in sede di conclusioni rassegnate dalle parti, affinché il rapporto processuale si determini, è necessario che il decorso del termine prescrizionale emerga ictu oculi dal provvedimento impugnato, e che non sia necessario alcun accertamento in punto di fatto da parte della Corte.
Nel caso in scrutinio, il reato risulta contestato come «perdurante fino al 15 settembre 2018», e la data di consumazione del reato non ha mai costituito oggetto di censura nel giudizio di merito (come correttamente evidenziato dal P.G. nelle sue conclusioni, non risulta alcuna allegazione, da parte del ricorrente, per fondare la retrodatazione).
Di più, dalla sentenza di primo grado (che, vertendosi in una ipotesi di c.d. «doppia conforme» di merito, si fonde con quella di appello, a fondare un unico apparato argomentativo) emerge (pag. 2) che in data 15/09/2018 il personale di polizia giudiziaria inviato sul posto a verificare l’accertamento delle prescrizioni imposte (ossia procedere alla «rimozione, smaltimento o recupero» dei rifiuti abusivamente depositati in modo incontrollato, ne aveva attestato l’inottemperanza, circostanza da cui si deduceva la prosecuzione della consumazione del reato contestato fino a tale data.
Ed infatti, la giurisprudenza della Corte, in caso di «deposito incontrollato», ossia di quella attività prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero (analoga allo stoccaggio ma precedente alla attività di gestione dei rifiuti), ritiene che la relativa condotta si protrae nel tempo, perché implica una «custodia», integrando così un reato permanente che si esaurisce con la cessazione dell'antigiuridicità mediante il conseguimento della necessaria autorizzazione, ovvero con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti, con un provvedimento cautelare di natura reale, ovvero con la sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 25429 del 01/07/2015, dep 2016, Gai, Rv. 267183; Sez. 3, n. 38662 del 20/05/2014, Convertino, Rv. 260380; Sez. 3, n. 25216 del 26/05/2011, Caggiano, Rv. 250969), mentre, in assenza di provvedimento cautelare o di autorizzazione (e prima della sentenza di primo grado), la decorrenza della prescrizione deve essere individuata nel momento dell'accertamento nel quale è stata constatata la protrazione della situazione antigiuridica per la mancata rimozione dei rifiuti (Sez. 3, Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017, dep. 2018, Paglia, cit.), che è proprio il caso ricorrente nella specie.
Il ricorrente, che contesta la natura permanente del reato in esame e propone una nuova valutazione del fatto, chiede a questa Corte di sostituirsi al giudice del merito nella ricostruzione del tempus commissi delicti, operazione esclusa nel giudizio di legittimità.
Il motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
3. Il secondo motivo è, invece, fondato.
La Corte di appello, a pagina 1, precisa che la condanna ha riguardato i soli rifiuti non pericolosi, di cui alla lettera a) dell’articolo 256, comma 1, d. lgs. 152/2006, per i quali la legge stabilisce la pena, alternativa, dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.
La sentenza ha, invece, applicato la pena congiunta, prevista, per i soli rifiuti pericolosi, dalla lettera b) della medesima disposizione.
La pena concretamente irrogata è più grave rispetto a quella edittalmente prevista, ed è pertanto da considerarsi «illegale», in quanto non corrisponde, per specie ovvero per quantità, sia in difetto che in eccesso, a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio delineato dal codice penale (Sez. U., n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205; Sez. U. n. 40986 del 19/07/2018, P., Rv. 273934; Sez. U. n. 21368 del 26/09/2019, dep. 2020, Savin, Rv. 279348; Sez. 5, n. 10712 del 23/11/2021, dep. 2022, Darabitabar, n.m.).
L’instaurazione di un valido rapporto di impugnazione impone al Collegio di verificare l’esistenza di cause di estinzione del reato successive alla sentenza impugnata.
Nel caso in esame, il reato contestato, in assenza di cause di sospensione del corso della prescrizione, risulta estinto per intervenuta prescrizione (c.d. «massima») il 15 settembre 2023, ossia dopo la pronuncia della sentenza di appello.
La sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile nel resto.
Così deciso il 28/03/2024.