La riforma Cartabia tra procedimento civile e penale: alcuni dati per comprenderne l’efficacia
La riforma Cartabia tra procedimento civile e penale: alcuni dati per comprenderne l’efficacia
di R.Renzi
Molto spesso quando bisogna far passare una riforma o una legge divisive per il Parlamento italiano, è buon costume esclamare che a chiedercelo è l’Europa. Tornando indietro sino all’ottobre del 2021, possiamo affermare che si è andati anche oltre a tale modus operandi, l’allora Ministro della Giustizia del Governo Draghi, Marta Cartabia, arrivò ad affermare: «La riforma della giustizia è il pilastro su cui poggia l’interno PNRR. Se fallisce questa rifirma, molto semplicemente, noi non avremo i fondi europei». Detta così, non sembra esagerato leggere l’affermazione quasi come un ricatto. Ma cosa ci chiedeva realmente l’Europa? La Commissione europea si era espressa mediante il Country Report del 2019, nel quale si sottolineava come in Italia i procedimenti civili fossero lenti e macchinosi e come quelli penali fossero scarsamente efficaci contro la lotta alla corruzione. Si consigliava perciò di intervenire sulla normativa procedurale per ridurne le tempistiche, mentre alcun accenno si faceva alla riforma della giustizia. Il Governo Draghi recepiva e interpretava queste indicazioni, concordando sulla lentezza dei processi, come una minaccia per la competitività delle imprese italiane e un fattore di scarsa attrattiva per investitori esteri. Così si decise di intervenire rapidamente per aumentare la trasparenza e la prevedibilità dei processi civili e penali. La Cartabia per attuare la riforma mise all’opera tre commissioni:
La prima diretta dal presidente della Corte costituzionale, Giorgio Lattanzi, la quale aveva il compito di proporre emendamenti al disegno di legge sul processo penale in quel momento in elaborazione presso la Camera dei deputati;
La seconda era quella diretta dal prof. Francesco Paolo Lusio, la quale aveva il compito di proporre emendamenti al disegno di legge sul processo civile che in quel momento era presso il Senato della Repubblica;
La terza ed ultima era diretta dal prof. Massimo Luciani, a questa concernevano le modifiche da apporre al disegno di legge sull’ordinamento giudiziario, ormai da molto tempo ferma presso la Camera dei deputati.
Nell’immediato si diede maggiore priorità alla riforma del processo civile, poiché era la questione più spinosa legata al PNRR. La relazione PNRR di quell’anno prevedeva una riduzione delle tempistiche del procedimento civile del 50% e ciò avrebbe comportato che: «la dimensione media delle imprese manifatturiere sarebbe cresciuta del 10%». Alla riforma era direttamente collegata la crescita economica del Paese. Non si comprende bene quale fosse la relazione tra la riforma e tali dati di crescita economica. Però è certo che nella visione del Governo di allora la riforma doveva essere più funzionale per le imprese e gli investitori, che alla soddisfazione di diritti individuali. Del resto, la riforma non ha riguardato la giustizia civile, bensì il procedimento di cognizione ordinario, ignorando totalmente che le procedure relative alle domande di protezione internazionale, le amministrazioni di sostegno e tutela, le controversie famigliari costituiscono il 50% delle pendenze di tal settore. Sempre in quest’ottica una cura particolare è stata riservata all’esecuzione forzata mediante la velocizzazione della fase liquidatoria nelle esecuzioni immobiliari. È stata l’introduzione della vendita diretta del bene pignorato da parte del debitore a velocizzare di molto l’iter burocratico. I riformatori, sempre su quella spinta/giustificazione del “Ce lo chiede l’Europa”, non avendo avuto la possibilità di attuare una riforma organica, sono andati ad operare interventi selettivi. L’efficacia di tali interventi è ancora tutta da verificare[1]. Mentre sempre per potenziare la riduzione dei tempi processuali, non si è voluti intervenire sull’abolizione della Sezione filtro in Cassazione, poiché tale manovra non è stata ritenuta efficace per la riduzione delle tempistiche processuali. In Italia alcuna norma disincentiva i ricorsi delle parti, anzi alla Corte già ricolma di per sé di lavoro, viene assegnato anche il compito in via anticipata di decidere questioni di diritto difficilmente interpretabili. A tutto ciò si aggiunga che durante i lavori nessuno del Governo si è occupato di una adeguata comunicazione istituzionale verso i cittadini, insomma nessuno ha parlato di ciò che si stava facendo, in maniera divulgativa e senza utilizzo di tecnicismi. Inoltre, l’urgenza tanto palesata all’inizio, il famoso “Ce lo chiede l’Europa altrimenti non si prendono i soldi del PNRR” (209 miliardi), è andata rapidamente scemando, nascondendosi quasi nell’ombra, testo ed emendamenti sono rimasti fermi in Parlamento sino a settembre 2021, mentre in TV si iniziava a dibattere e parlare della riforma del processo penale.
C’è ora da chiedersi quale era stata l’originaria proposta avanzata dall’allora Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Essa può essere così riassunta:
Riduzione dei reati procedibili d’ufficio;
Potenziamento dei riti alternativi;
Resa più vincolante del filtro dell’udienza preliminare;
Assunzione di 850 giudici ausiliari per lo smaltimento delle procedure arretrate delle Corti d’Appello.
Dunque, nell’idea di riforma del Ministro c’era lo spostamento della prescrizione del reato, dopo la sentenza di primo grado, per la pronuncia della condanna. Il Ministro aveva anche previsto tempistiche ristrettissime per le tre fasi del processo[2]. La durata poteva però essere aumentata su intervento del CSM.
La Cartabia ha invece colto solo in parte l’attento lavoro portato avanti dalla Commissione Lattanzi. Ignorò totalmente il lavoro fatto precedentemente per risolvere i problemi dell’arretrati delle Corti d’Appello. Inoltre, disciplinava l’ufficio del processo a sostegno dei singoli magistrati e riscriveva molte norme del progetto originario. Del progetto originario del Ministro Bonafede, sulla carta molto più efficace della riforma attuata dalla Cartabia, non resta quasi nulla. I media hanno dedicato pochissimo spazio agli emendamenti introdotti dal Governo, molti dei quali atti a valorizzare le misure alternative, questo in netta controtendenza con il sistema precedente ove la pena era identificata con il carcere. L’interesse dei partiti e degli indagati si era focalizzato esclusivamente sul nuovo istituto dell’improcedibilità. Il nuovo istituto dell’improcedibilità processuale si attua quando i termini di fase, due anni per il processo d’appello e uno per quello in Cassazione, fossero stati superati previo emissione di sentenza. La norma comprende tutti i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, tranne quelli punibili con l’ergastolo. Altro non è che una prescrizione processuale, la quale si va ad aggiungere a quella sostanziale prevista dal Codice penale. Il Sole 24 Ore definì la riforma semplicemente come «taglia processi».
Facciamo ora un breve focus sulle modifiche introdotte al procedimento penale con la Riforma Cartabia. Il 30 dicembre 2022 è entrato in vigore il Decreto – Legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, il quale è andato a modificare il procedimento penale[3]. La riforma, proprio come quella del civile, ha il compito di ridurre i tempi di trattazione dei procedimenti penali entro il 2026 del 25% della durata media del processo penale nei tre gradi di giudizio. Cerchiamo però di capire quali sono le reali novità apportate dalla riforma in materia penale:
In primo luogo, si è puntato ad un ampliamento del regime di procedibilità a querela di parte: alcuni reati contro la persona, alcuni delitti contro il patrimonio, ma anche altri reati per i quali era prevista la procedibilità d’ufficio, oggi sono punibili solo nel caso in cui sia presentata querela dalla persona offesa;
In secondo luogo, si è attuata la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Si è deciso di ampliare il catalogo dei reati per i quali è prevista la possibilità di accedere alla messa alla prova ed è stata estesa al Pubblico Ministero;
In terzo luogo, si è intervenuti anche sulle indagini preliminari. Si è fissata una soglia alla durata massima delle indagini, corrispondente ad un anno per i reati, in sei mesi per le contravvenzioni e in un anno e sei mesi per i reati più gravi;
Come quarto punto è stato introdotto il processo penale telematico. Si è deciso di introdotte disposizioni che prevedono l’obbligatorietà e l’esclusività del deposito telematico di atti, documenti, richieste e memorie, nonché le notifiche presso il domicilio digitale dell’imputato;
Altro punto fondamentale è quello relativo alla prevedibilità della condanna. «Sia il Pubblico Ministero, sia il Giudice per l’Udienza Preliminare devono informare il loro agire alla regola della ragionevole previsione della condanna. In particolare, il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna; il Giudice per l’udienza preliminare pronuncerà sentenza di non luogo a procedere quando gli acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna»[4];
Altro intervento rilevante è quello relativo al patteggiamento, che ha previsto la possibilità di estendere l’applicazione della pena su richiesta delle parti anche alle pene accessorie, alla loro durata e alla confisca facoltativa;
Si può considerare fondamentale anche l’intervento sul giudizio di appello, è stata, infatti, prevista l’inappellabilità di alcune sentenze.
Altro punto rilevante è l’intervento in materia delle misure sostitutive della pena. Ora tali misure possono essere applicate in caso di condanne fino a quattro;
Per quanto concerne il pagamento delle pene pecuniarie, si è deciso che il P.M. intimerà al condannato di pagare entro 90 giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione della pena; in caso di mancato pagamento, la pena si converte in una misura limitativa della libertà, come ad esempio la semilibertà;
Rilevante è anche l’intervento concernente la giustizia riparativa. È stato introdotto l’istituto della giustizia riparativa che si sostanzia in un programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un mediatore;
In ultimo si è intervenuti anche sul diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini. L’imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento[5].
È ora opportuno chiedersi se tale riforma richiesta dall’Europa sia stata realmente efficace. Vediamo un po’ di dati. Possiamo dire che su tale riforma si è bloccato un po’ tutto e tutta la fretta iniziale è svanita nel nulla. Ad oggi non risulta ancora predisposta la relazione annuale del Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale, sulla ragionevole durata del procedimento e sulla statistica giudiziaria, istituito presso l’Ufficio di Gabinetto dello stesso Ministero ai sensi dell’art. 2, co. 6 e 16 della legge n. 134/2021. Andando sul sito che di seguito linko[6] è riportato testualmente: «L’ultimo aggiornamento del monitoraggio è relativo al terzo trimestre 2023». Dunque, ancora nessuna relazione. Possiamo dire che questa mancanza è un vero peccato nei confronti dell’Europa che tanta fiducia aveva riposto nell’attuazione della riforma. È però possibile analizzare qualche dato. Partiamo da quelli più sorprendenti del terzo semestre 2023, nel settore penale il DT[7] si è ridotto del 29,9% rispetto al 2019 e supera la richiesta del target PNRR. Nel terzo semestre del 2023 la riduzione del DT rispetto al 2019 è del 30,2% in Tribunale, del 27,8% in Corte d’Appello e del 39,7% in Cassazione.
Un altro dato particolarmente rilevante è quello relativo alla durata dell’appello penale: la media nazionale è di 613 giorni. Tale dato ci dice che è scesa al di sotto del termine massimo di durata ragionevole (due anni) previsto dalla legge Pinto e alla quale la riforma Cartabia ha agganciato il nuovo istituto della improcedibilità a procedere. Con una media della durata dell’appello inferiore ai due anni l’improcedibilità non sarà affatto una tagliola destinata a mandare in fumo migliaia di processi, sarà un evento eccezionale e limitato, non sistemico come la prescrizione del reato, che ancora nel 2022, per i fatti commessi prima del 1° gennaio 2020, ha interessato oltre 30.000 procedimenti penali in appello.
Dunque, cosa possiamo dire? La Riforma, fatta eccezione per alcune Regioni nelle quali ancora si procede a rilento, sta funzionando, sono proprio i dati trimestrali a darcene conferma.