Ecodelitti.Reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e nozione di risparmio di spesa

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Ecodelitti.Reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e nozione di risparmio di spesa

Studio Volpicelli
Pubblicato da Lexambiente in Ecodelitti · Lunedì 27 Nov 2023
Ecodelitti.Reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e nozione di risparmio di spesa

Cass. Sez. III n.45314 del 10 novembre 2023 (CC 4 ott 2023)
Pres. Ramacci Est. Corbo Ric.Scaglione

Ecodelitti.Reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e nozione di risparmio di spesa

Sembra ragionevole ritenere che risparmio di spesa costituente vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato sia quello attinente a quei costi “doverosi” che vengano “evitati”, o comunque non “esborsati”, proprio a causa dell’illecito, quale indefettibile conseguenza di quest’ultimo, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile.  Va tuttavia precisato che la valutazione economica del risparmio di spesa, se richiede una precisa individuazione delle “voci” di costo illecitamente “evitate”, può essere fondata anche su criteri elaborati sulla base di dati statistici o di mercato in ordine al “valore” di queste ultime. Invero, una volta che le spese risparmiate siano esattamente individuate nella loro identità e nella loro diretta derivazione causale dal reato, sarebbe del tutto irragionevole escludere l’applicazione di criteri di stima in grado di quantificarle secondo un alto grado di probabilità logica: ad opinare diversamente, si escluderebbe l’ablazione del profitto ingiusto che il reo ha realizzato mediante l’illecito penale, sebbene questo sia certo nel suo essersi verificato, e plausibilmente determinabile nel suo concreto ammontare secondo criteri condivisi tra gli esperti, in contrasto con la volontà del legislatore che ne ha specificamente disposto la confisca. Di conseguenza, in relazione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, potrà ritenersi profitto confiscabile il mancato “esborso” di quei costi “doverosi” evitati proprio, e specificamente, a causa della commissione della condotta illecita, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica.  


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 16 marzo 2023 e depositata il 4 aprile 2023, il Tribunale di Roma, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha parzialmente accolto l’appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma avverso il provvedimento di parziale accoglimento dell’istanza di dissequestro presentata da Carmelina Scaglione, provvedimento emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 7 novembre 2022 con riferimento al sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente disposto anche nei confronti dell’istante.
1.1. Il sequestro ha ad oggetto il profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, ed è stato disposto a norma dell’art. 452-quaterdecies, quarto comma, cod. pen. Il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è stato ipotizzato con riferimento, in particolare, all’omesso emungimento del percolato prodotto nella discarica di “Malagrotta” da parte della società “E. Giovi s.r.l.”, preposta alla gestione del sito, e in relazione alla quale Carmelina Scaglione aveva un ruolo apicale, nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018.
1.2. Il sequestro originariamente disposto il 10 luglio 2018, poi confermato dal Tribunale del riesame, quindi mantenuto fermo all’esito di successive istanze di revoca fino al decreto di parziale dissequestro del G.i.p. del Tribunale di Roma del 7 novembre 2022, aveva ad oggetto la somma di euro 190.652.264,09 euro, quale importo corrispondente al risparmio di spesa per l’omesso emungimento del percolato.
Il G.i.p., a fondamento della decisione di parziale dissequestro del 7 novembre 2022, ha ritenuto di computare il profitto del reato sulla base di un raffronto contabile tra i costi sostenuti per lo smaltimento del percolato emunto e i ricavi percepiti attraverso la tariffa di ingesso, e lo ha così determinato nella somma di 5.261.157,50 euro.
1.3. Il Tribunale del riesame di Roma, pronunciando nella medesima data con due distinte ordinanze sia sull’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso la decisione del G.i.p. del 7 ottobre 2022 sia sull’appello proposto da Carmelina Scaglione avverso il provvedimento del Tribunale del 17 gennaio 2023 di rigetto dell’istanza di dissequestro della somma di 5.261.157,50 euro, ha parzialmente accolto il primo e respinto il secondo, ritenendo che il profitto del reato sia da determinarsi nella somma di 48.828.832,00 euro, siccome importo corrispondente al risparmio di spesa del gestore della discarica per l’omesso emungimento del percolato che avrebbe dovuto essere drenato per minimizzare il battente idraulico nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018, come stimato nella misura più favorevole agli indagati dalla perizia disposta ed eseguita in sede di incidente probatorio.       

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe Carmelina Scaglione, con atto sottoscritto dagli avvocati Gian Domenico Caiazza e Cesare Placanica, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 452-quaterdecies cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla qualificazione del percolato come rifiuto, e, quindi, alla possibilità che lo stesso integri oggetto materiale del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.
Si deduce che illegittimamente è stata ritenuta la configurabilità del reato posto a base del sequestro. Si premette che il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., nella specie, è ipotizzato con riferimento alla condotta di omesso emungimento, nei quantitativi dovuti, del percolato accumulatosi nella discarica, condotta assunta dal gestore al fine di conseguire un ingiusto profitto. Si osserva che, anche secondo la giurisprudenza di legittimità, il percolato non può essere considerato rifiuto prima di essere emunto. Si rappresenta, innanzitutto, che la nozione di percolato, a norma dell’art. 2, comma 1, lett. m), d.lgs. n. 36 del 2003, consiste in «qualsiasi liquido che si origina prevalentemente dall’infiltrazione di acqua nella massa di rifiuti o dalla decomposizione degli stessi e che sia emesso da una discarica o contenuto all’interno di essa», mentre il rifiuto, a norma dell’art. 183, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 152 del 2006, è costituito da «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Si evidenzia, poi, che, secondo una decisione, il percolato può assumere la connotazione di rifiuto solo quando lo stesso non si configuri quale acqua sostanzialmente di “processo” smaltita in un corpo idrico ricettore (Sez. 3, n. 7214 del 17/11/2010, dep. 2011), e, quindi, solo quando venga “separato” dalla discarica (si citano, per esempi in questo senso, Sez. 3, n. 15770 del 07/04/2018, e Sez. 3, n. 19969 del 14/12/2016, dep. 2017). Si aggiunge, ancora, che, secondo la perizia tecnico-ambientale effettuata nel presente processo, le acque di infiltrazione meteorica, anche se contaminate dal percolato di discarica, sono state ritenute escluse dall’ambito di attribuzione di un codice CER, perché non assumono la connotazione di rifiuto.       
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 452-quaterdecies cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla corretta individuazione del profitto confiscabile.
Si deduce che è illegittima l’individuazione del profitto confiscabile del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti nell’asserito risparmio di spesa per omesso emungimento del percolato.
Si premette che, nell’originario provvedimento di sequestro del 10 luglio 2018, il profitto del reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. era stato individuato nella somma di 190.652.264,09 euro, quale importo corrispondente al risparmio di spesa derivante dall’omesso emungimento del percolato, come quantificato sulla base di consulenza tecnica del Pubblico Ministero.
Si rappresenta, poi, che, successivamente, sono state disposte in sede di incidente probatorio una perizia tecnico-contabile ed una perizia tecnico-ambientale. Si precisa che, secondo la perizia tecnico-contabile, la quota di tariffa incassata e destinata a remunerare lo smaltimento del percolato dal 2009 era pari a 28.934.326,23, mentre i costi complessivi sono quantificabili in euro 51.569.701,01, di cui 23.673.168,73 euro già sostenuti, per cui il gestore: a) da un punto di vista economico, il quale tiene conto dei costi sostenuti e da sostenere, sopporterebbe una differenza negativa pari a 22.653.374,78 euro; b) da un punto di vista finanziario, il quale tiene conto dei soli costi sostenuti, beneficerebbe di una differenza positiva pari a 5.261.157,50, ossia la somma per la quale il G.i.p. aveva mantenuto il sequestro in data 7 novembre 2022. Si segnala, inoltre, che, secondo la perizia tecnico-ambientale, i quantitativi di percolato complessivamente prodotti all’interno della discarica nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018 oscillavano tra un valore minimo pari a 984.016 t (mc.) e un valore massimo pari a 1.450.744 t (mc.), con costi di gestione oscillanti tra un valore minimo di 52,00 per t (mc.) ed un valore medio di 56,3 per t (mc.); per cui, detraendo la quota di percolato potenzialmente trattabile nell’impianto di depurazione interno alla discarica, individuato in 45.000 t per anno, il costo risparmiato per l’omesso emungimento oscilla tra un massimo di 79.140.000 euro ed un minimo di 48.830.00 euro. Si evidenzia, ancora, che, secondo la medesima perizia tecnico-ambientale, i quantitativi di percolato giacenti in discarica a luglio 2020 ed estraibili oscillavano tra un valore minimo pari a 239.88 t (mc.) e un valore massimo pari a 799.627 t (mc.), per cui, parametrando la valutazione sulle stime dei quantitativi di percolato effettivamente giacente ed estraibile, il risparmio di spesa sarebbe stato da computare tra un massimo di 41.580.604,00 euro ed un minimo di 12.474.176,00 euro.    
Si rileva, quindi, che l’ordinanza impugnata ha ritenuto non condivisibile la quantificazione del profitto operata dal G.i.p., perché questo non si esaurisce in considerazione della remunerazione dei costi di gestione, ma «è costituito […] dalla mancata destinazione delle risorse necessarie ad emungere il quantitativo in contestazione». Si osserva che tale conclusione è viziata perché non tiene conto che, come riconosciuto anche dal Tribunale, il gestore del sito ha il diritto alla copertura integrale di tutti i costi sostenuti e da sostenere sia nella fase di gestione operativa, sia nella fase di gestione post-operativa della discarica: in altri termini, il Tribunale ha individuato il profitto del reato nel risparmio di una anticipazione di spesa che la società incaricata della gestione del sito avrebbe comunque avuto il diritto e la possibilità di recuperare.   
Si evidenzia, a questo punto, che il risparmio di spesa così individuato non è riconducibile alla nozione di profitto confiscabile accolta dalla giurisprudenza, poiché questa attribuisce rilievo, a tale fine, ai soli ricavi introitati e non decurtati dei costi, ossia ai risultati economici positivi concretamente determinati dalla contestata condotta illecita (si citano: Sez. U, n. 26654 del 2008, Sez. 6, n. 1754 del 16/01/2018; Sez. 5, n. 10265 del 2015). Si segnala, infatti, che: a) la società “E. Giovi s.r.l.”, secondo la perizia tecnico-contabile, ha riportato, nell’esercizio dell’attività di gestione, un risultato patrimoniale negativo pari a 22.653.374,78 euro; b) la quantità di percolato che avrebbe dovuto essere emunta, alla luce della perizia tecnico-ambientale, risulta del tutto incerta, ed anzi il Tribunale ha preso come riferimento un valore diverso da quello sempre in precedenza considerato, ossia quello concernente il percolato estraibile, bensì quello del percolato complessivamente prodotto; c) la società preposta al sito avrebbe comunque avuto il diritto e la possibilità di recuperare ogni costo sostenuto per la gestione della discarica.
Si aggiunge, poi, che il sequestro nei confronti dell’attuale ricorrente è illegittimo anche per una ulteriore ragione. Si premette che detto sequestro è un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Si segnala che tale tipologia di sequestro è giuridicamente possibile solo quando è ammissibile la confisca diretta (si cita Sez. 6, n. 3635 del 2013), e che, però, nella specie, non vi è un oggetto materialmente affluito nel patrimonio del soggetto destinatario della misura ablatoria. Si precisa, in altri termini, che, siccome nella specie non è immaginabile la confisca diretta di un risparmio di spesa, manca il termine di equivalenza che rende possibile procedere alla confisca di valore.  
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo all’assenza di motivazione in punto di quantificazione del profitto, sulla base del percolato giacente nella discarica e suscettibile di estrazione.
Si deduce che, in ogni caso, la motivazione relativa alla determinazione del profitto del reato è inesistente, o comunque priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza.
Si premette che l’ordinanza impugnata, pur indicando come suo presupposto la perizia tecnico-ambientale, quantifica il risparmio di spesa sulla base dell’intero percolato prodotto nel periodo tra il 2009 ed il 2018, nella misura minima di 984.016 tonnellate indicata dai periti, senza tener conto dei volumi estraibili di percolato al fine di minimizzare il battente idraulico, stimati dai periti tra un minimo di 239.888 mc. ed un massimo di 799.627 mc. Si rappresenta che il riferimento alle quantità estraibili si spiega perché non tutto il percolato giacente nella discarica è suscettibile di estrazione, essendo tale solo quello connesso alla c.d. porosità efficace e non anche quello segregato nella c.d. capacitò di campo. Si aggiunge che la differenza tra percolato complessivamente prodotto nel periodo dal 2009 al 2018 e percolato giacente ed estraibile dipende dal quantitativo di percolato che, nel medesimo periodo, è stato estratto o smaltito, o che è stato eliminato per evaporazione o produzione di biogas. Si osserva che, se si fosse adottato il criterio accolto nell’originario decreto di sequestro, e si fosse applicato lo stesso ai valori indicati nella perizia, si sarebbe dovuto prendere in considerazione il quantitativo di percolato minimo attualmente presente in discarica, pari a 239.88 mc., e che, quindi, moltiplicando lo stesso per il costo unitario minimo di smaltimento, pari a 52,00 euro per mc., il risparmio sarebbe stato individuato nella somma di 12.474.176,00 euro.
Si rileva, ancora, che siccome la gestione operativa si è chiusa con una differenza negativa di 22.635.374,78 euro a carico del gestore, il confronto di tale cifra con la somma di 12.474.176,00 euro, costituente l’asserito risparmio indebito, porta ad escludere che la “E. Giovi s.r.l.” abbia lucrato alcunché.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Diverse da quelle consentite, perché precluse, sono le censure proposte con il primo motivo, che contestano la configurabilità del reato contestato, quello di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen, deducendo che lo stesso non può avere ad oggetto, così come indicato nell’ipotesi di accusa, il percolato, siccome questo non è qualificabile come rifiuto prima di essere “separato” dalla discarica.  
2.1. Non può, in questa sede, essere rilevata la preclusione da giudicato cautelare, perché la ricorrente pone a base delle proprie critiche anche elementi desunti dalla perizia tecnico-ambientale eseguita in sede di incidente probatorio.
In effetti, come precisato più volte in giurisprudenza, in tema di misure cautelari, la consulenza tecnica che chiarisca un tema già valutato da una pregressa ordinanza cautelare di rigetto, non impugnata, può costituire "elemento nuovo", idoneo a superare l'effetto preclusivo derivante dal cd. giudicato cautelare, formatosi sulle questioni esplicitamente o implicitamente già dedotte, soltanto se depositata prima della scadenza del termine di chiusura delle indagini preliminari, essendo altrimenti inutilizzabile (cfr. Sez. 4, n. 25104 del 03/06/2021, Clemente, Rv. 281493-01, e Sez. 5, n. 17971 del 07/02/2020, Nebbia, Rv. 279411-01).
2.2. Tuttavia, la proposizione della questione deve ritenersi preclusa per effetto del principio devolutivo.
Si è più volte affermato che, in tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall'impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, sicché con l'appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell'istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d'ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo (così, tra le tante, Sez. 3, n. 30483 del 28/05/2015, Loffredo, Rv. 264818-01, e Sez. 1, n. 43913 del 02/07/2012, Xu, Rv. 253786-01).
Ora questo principio, se è condivisibile in relazione all’appello cautelare, deve essere a maggior ragione ritenuto applicabile quando le questioni nuove sono dedotte per la prima volta in sede di legittimità. Invero, in questa ipotesi non viene in rilievo soltanto il principio devolutivo, già di per sé assorbente ed autonomamente risolutivo, ma anche l’esigenza di un esame nel merito della questione, assolutamente necessario per una corretta individuazione del fatto al quale si riferisce la norma giuridica di cui si discute l’applicazione.

3. Infondate sono le censure esposte nel secondo motivo di ricorso, nella parte in cui contestano l’individuazione del profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. come operata dal Tribunale, deducendo, in particolare, che l’indicato profitto non può riferirsi ad un ipotetico e non oggettivamente quantificabile risparmio di spesa, tanto più in quanto, nella specie, la spesa risparmiata riguarderebbe costi che la società incaricata della gestione della discarica avrebbe avuto il diritto di recuperare.
3.1. Che il profitto di un reato possa consistere in un risparmio di spesa è principio ormai ampiamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità ed affermato con estrema chiarezza in almeno due decisioni delle Sezioni Unite (il riferimento è a Sez. U, n. 188374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036-01, in materia di reati tributari. e a Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117-01, in materia di reati colposi).
Questa conclusione poggia sulla premessa secondo cui «l’idea di profitto non può non essere conformata in guisa che sia coerente con le caratteristiche della fattispecie cui si riferisce» (cfr. Sez. U, n. 38343 del 2014, Espenhahn, cit., in motivazione, § 64).
E, quindi, è riferibile a tutte le fattispecie di reato rispetto alle quali il risparmio di spesa si presenta come una forma di profitto «coerente», ossia come “risultato” derivante dalla condotta integrante il fatto tipico.
Ciò posto, tra le fattispecie rispetto alle quali il risparmio di spesa si presenta come una forma di profitto «coerente» è senz’altro da annoverare anche quella prevista dall'art. 452-quaterdecies cod. pen. Appare sufficiente rilevare in proposito che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il profitto «ingiusto» del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può consistere anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, Berlingieri, Rv. 275399-01; Sez. 3, n. 35568 del 30/05/2017, Savoia, Rv. 271138-01; Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016, Silva, Rv. 267845-01).
3.2. Precisato che il profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può avere ad oggetto un risparmio di spesa, occorre esaminare qual è l’ambito applicativo di tale nozione.    
Punto di partenza è offerto, pure a questo proposito, dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale.
Secondo il costante insegnamento, anche delle Sezioni Unite, il profitto deve essere «identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato» (così, per tutte, Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436-01, e Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti Spa, Rv. 239924-01).
E questo principio trova costante applicazione pure quando il profitto è costituito da un risparmio di spesa (così, ancora, Sez. U, n. 38343 del 2014, Espenhahn, cit., in motivazione, § 64, nonché, di recente Sez. 4, n. 29397 del 08/06/2022, Torregrossa, Rv. 283388-02, e Sez. 6, n. 20179 del 10/03/2021, Toto SPA Costruzioni, Rv. 281306-01).
Ma quando può ritenersi che un risparmio di spesa costituisca vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato?
Sembra ragionevole ritenere che risparmio di spesa costituente vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato sia quello attinente a quei costi “doverosi” che vengano “evitati”, o comunque non “esborsati”, proprio a causa dell’illecito, quale indefettibile conseguenza di quest’ultimo, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile.
Va tuttavia precisato che la valutazione economica del risparmio di spesa, se richiede una precisa individuazione delle “voci” di costo illecitamente “evitate”, può essere fondata anche su criteri elaborati sulla base di dati statistici o di mercato in ordine al “valore” di queste ultime. Invero, una volta che le spese risparmiate siano esattamente individuate nella loro identità e nella loro diretta derivazione causale dal reato, sarebbe del tutto irragionevole escludere l’applicazione di criteri di stima in grado di quantificarle secondo un alto grado di probabilità logica: ad opinare diversamente, si escluderebbe l’ablazione del profitto ingiusto che il reo ha realizzato mediante l’illecito penale, sebbene questo sia certo nel suo essersi verificato, e plausibilmente determinabile nel suo concreto ammontare secondo criteri condivisi tra gli esperti, in contrasto con la volontà del legislatore che ne ha specificamente disposto la confisca.     
Di conseguenza, in relazione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, potrà ritenersi profitto confiscabile il mancato “esborso” di quei costi “doverosi” evitati proprio, e specificamente, a causa della commissione della condotta illecita, e la cui identità sia oggettivamente individuabile ed economicamente valutabile sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica.   
3.3. Nella specie, l’ordinanza impugnata premette che il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è stato commesso, in particolare, mediante l’omesso emungimento del percolato prodottosi nella discarica denominata “Malagrotta” dal 2009 al 2018.
Per quanto riguarda il profitto confiscabile, osserva che questo si identifica nella somma corrispondente al risparmio di spesa derivante dall’omesso emungimento e smaltimento del percolato prodottosi nella discarica denominata “Malagrotta” dal 2009 al 2018.
Il Tribunale, in particolare, osserva che la società preposta alla gestione della discarica, la “E. Giovi s.r.l.”, non aveva le risorse finanziarie necessarie a fare fronte al trattamento di tutto il percolato prodotto, in quanto la remunerazione tariffaria era dimensionata su un quantitativo di percolato pari a 55.000 mc. per anno, e, quindi, esiguo o comunque molto inferiore a quello effettivamente formatosi, e che, perciò, la stessa ha «improntato la sua attività su un risparmio di spesa indebito». Precisa, inoltre, che il risparmio di spesa in contestazione ha provocato l’illecita accumulazione del percolato, e che l’entità di quest’ultimo da emungere e smaltire per minimizzare il battente idraulico avrebbe dovuto essere indicata nel bilancio idrologico, il quale avrebbe dovuto essere redatto con periodicità almeno annuale, come prescritto dal decreto commissariale n. 26 del 2005 e dal d.lgs. n. 36 del 2003, diversamente da quanto invece accaduto. Rappresenta, poi, che il diritto della società preposta alla gestione della discarica di ottenere la copertura integrale dei costi sostenuti è fuori discussione, ma era subordinato a precisi presupposti: la “E. Giovi s.r.l.” avrebbe dapprima dovuto procedere all’emungimento del percolato e solo dopo avrebbe potuto richiedere la rideterminazione a consuntivo della tariffa, alla luce dei costi effettivamente sostenuti e dimostrati, innanzitutto mediate redazione del bilancio idrologico della discarica. Conclude, quindi, che la “E. Giovi s.r.l.” ha scelto di non anticipare le spese necessarie per la implementazione del sistema di raccolta e gestione del percolato, di non redigere il bilancio idrologico, e di non chiedere il ristoro dei maggiori costi mediante istanza di rideterminazione della tariffa a consuntivo; aggiunge, inoltre, che le somme percepite sono state trasferite ad altre società del gruppo, precisamente individuate.
Per quanto attiene al criterio di determinazione del profitto del reato, il Tribunale prende a riferimento le indicazioni fornite dalla perizia tecnico-ambientale eseguita in sede di incidente probatorio. Rileva che: a) il risparmio di spesa deve essere parametrato all’omesso emungimento del percolato che avrebbe dovuto essere drenato per minimizzare il battente idraulico nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018; b) il volume dell’inquinante da rimuovere è stato stimato dai periti in misura compresa tra 984.016 tonnellate e 1.450.744 tonnellate; c) il costo medio di smaltimento era pari a 56,3 euro per tonnellata, mentre il costo minimo di smaltimento era pari a 52 euro a tonnellata. Conclude che, applicando il criterio «prudenziale» del quantitativo minimo di percolato non drenato (984.016 tonnellate) e del costo minimo di smaltimento (52 euro per tonnellata), il risparmio di spesa è pari a 48.828.832,00 euro.
3.4. Le conclusioni dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui individuano il profitto confiscabile del reato in contestazione nel risparmio di spesa derivante dal mancato esborso delle somme necessarie per l’emungimento e smaltimento del percolato da drenare per minimizzare il battente idraulico nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018, risultano immuni da vizi.
Si è detto in precedenza, al § 3.1., che il profitto del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti può avere ad oggetto un risparmio di spesa, e, al § 3.2., che per risparmio di spesa confiscabile si intendono i costi “doverosi” non “esborsati” proprio a causa dell’illecito, e quale indefettibile conseguenza di quest’ultimo, oggettivamente individuabili nella loro identità ed economicamente valutabili sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica.
Nella specie, in primo luogo, il profitto confiscabile è stato individuato nel risparmio di spesa relativo a costi “doverosi” non “esborsati” proprio a causa del reato, e quale indefettibile conseguenza di quest’ultimo. Invero, i costi risparmiati, e sui quali è stato parametrato il profitto del reato in contestazione, attengono al mancato “esborso” di quanto necessario per l’emungimento e smaltimento del percolato da drenare per minimizzare il battente idraulico e, quindi, derivano direttamente dall’omissione di tale attività, ossia proprio ed esattamente dalla condotta integrante la fattispecie delittuosa oggetto di specifica contestazione.
In secondo luogo, poi, i costi risparmiati ritenuti oggetto del profitto confiscabile risultano oggettivamente individuati nella loro identità ed economicamente valutabili sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica. Come si è precisato, infatti, gli stessi sono stati identificati in quelli che sarebbero stati necessari per emungere e smaltire il percolato da drenare per minimizzare il battente idraulico nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018. Inoltre, detti costi sono stati quantificati sulla base delle indicazioni di una perizia eseguita in sede di incidente probatorio, la quale ha stimato sia i quantitativi di percolato non drenati, indicando valori minimi e valori massimi, sia i costi di gestione e smaltimento, indicando valori minimi e valori medi, e scegliendo prudenzialmente come base di calcolo i valori minimi dei quantitativi e dei costi.
I rilievi critici formulati nel ricorso non inficiano queste conclusioni.
I rilievi che richiamano i dati esposti nella perizia tecnico-contabile fanno riferimento a grandezze del tutto estranee ai risparmi di spesa individuati dal Tribunale come costituenti il profitto confiscabile: gli elementi richiamati, precisamente, sono relativi alle somme incassate dalla società preposta alla discarica e ai costi sostenuti da questa o dalla stessa previsti, ma non certo ai costi che sono stati “evitati” mediante le condotte in contestazione.
I rilievi che si appuntano sui quantitativi di percolato giacenti in discarica a luglio 2020 non tengono presente che le condotte illecite sono state commesse progressivamente nel tempo, e che il drenaggio del percolato per minimizzare il battente idraulico avrebbe dovuto essere compiuto gradualmente, con periodicità almeno annuale, posta la previsione della redazione del bilancio idrologico con frequenza non inferiore all’anno.
I rilievi che evidenziano il diritto della società “E. Giovi s.r.l.” di ottenere la copertura integrale dei costi sostenuti sono privi di concreta influenza, per una pluralità di ragioni. Da un lato, era comunque necessaria l’anticipazione di spesa, e per ingenti importi, da parte della precisata società. Sotto altro profilo, il diritto al rimborso era subordinato a precisi adempimenti, quali quello della redazione con periodicità almeno annuale del bilancio idrologico, invece mai effettuata. In ogni caso, la decisione di non procedere al drenaggio del percolato risulta essere stata una scelta della medesima società, preliminare ed anteriore alla possibilità di chiedere il rimborso dei relativi costi.  

4. Manifestamente infondate sono le ulteriori censure formulate nel primo motivo di ricorso, che contestano l’ammissibilità del sequestro, deducendo che non può ritenersi consentito il sequestro a fini di confisca per equivalente di un profitto in ordine al quale non è giuridicamente configurabile la confisca diretta.
In proposito, è sufficiente rilevare che la confisca per equivalente è prevista proprio per le ipotesi in cui «non sia possibile» la confisca diretta, come conferma espressamente anche l’art. 452-quaterdecies, ultimo comma, cod. pen.
In ogni caso, può aggiungersi che non è condivisibile nemmeno la premessa teorico-sistematica della censura, secondo cui il risparmio di spesa, in linea di principio, non può essere oggetto di confisca diretta. È sufficiente considerare l’esperienza in materia di reati tributari, il cui profitto ordinariamente consiste in risparmio di spesa: in relazione ad essi si dubita se sia possibile ipotizzare la confisca diretta di somme entrate nella disponibilità del soggetto avvantaggiato dal reato dopo la commissione dell’illecito; risulta però fuori discussione la configurabilità della confisca diretta con riferimento alle somme già nella disponibilità del soggetto avvantaggiato dal reato al momento della commissione dell’illecito (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 2019, Torelli, Rv. 274859-01, e Sez. 3, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2018, Rv. 272353-01).
Inoltre, e conclusivamente, non manca il termine di equivalenza per procedere al sequestro funzionale alla confisca di valore, in quanto, come si è precisato in precedenza, nei §§ 3.3 e 3.4, i costi risparmiati ritenuti oggetto del profitto confiscabile risultano oggettivamente individuati nella loro identità ed economicamente valutabili sulla base di criteri in grado di assicurarne la quantificazione secondo un alto grado di probabilità logica.

5. Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano la quantificazione del profitto, deducendo l’assenza dei requisiti minimi di ragionevolezza, in particolare per la parametrazione di esso all’intero volume del percolato prodotto nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2018, e non a quello giacente in discarica e ritenuto estraibile dai periti, e per l’omessa considerazione della differenza negativa tra costi e ricavi nella gestione della discarica.
Costituisce principio assolutamente consolidato in giurisprudenza quello secondo cui il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (così per tutte, Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692-01, e Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01).
Nella specie, come evidenziato in precedenza nei §§ 3.3 e 3.4, dall’ordinanza impugnata si evince che le condotte illecite sono state commesse progressivamente nel tempo, e che il drenaggio del percolato per minimizzare il battente idraulico avrebbe dovuto essere compiuto gradualmente, con periodicità almeno annuale, posta la previsione della redazione del bilancio idrologico con frequenza non inferiore all’anno.
Ne discende che pienamente coerente con questa ricostruzione è la quantificazione del percolato che avrebbe dovuto essere drenato, e, quindi, l’individuazione dei costi correlativamente risparmiati, sulla base non dei quantitativi di percolato esistenti in discarica al 2020, come indicato nel ricorso, bensì dei quantitativi di percolato che, gradualmente, sarebbe stato doveroso asportare e che, invece, non sono stati smaltiti.
Del tutto irrilevante, poi, in questa sede, è il riferimento al risultato negativo della gestione operativa della discarica. Questa circostanza, infatti, al più, potrebbe avere un significato ai fini del sequestro funzionale alla confisca diretta, ove si ritenga che questa possa riguardare le sole attività presenti nel patrimonio del soggetto avvantaggiato dalla commissione del reato al momento della consumazione dell’illecito. Deve escludersi, però, che questo dato possa rilevare ai fini del sequestro funzionale alla confisca per equivalente, ossia della misura cautelare della cui legittimità si discute in questa sede, posto che l’ablazione per equivalente si applica, in generale, ai «beni di valore equivalente di cui il condannato abbia anche indirettamente o per interposta persona la disponibilità», ex art. 452-quaterdecies, ultimo comma, cod. pen.

6. Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 04/10/2023


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