Caccia e animali.Reato di uccisione di animali
Pubblicato da Lexambiente in Caccia · Lunedì 16 Ott 2023
Caccia e animali.Reato di uccisione di animali
Cass.Pen. Sez. III n. 37847 del 15 settembre 2023 (UP 15 giu 2023)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Soadafora
La nozione di "necessità" che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all'art. 544 bis cod. pen. comprende non soltanto lo stato di necessità previsto dall'art. 54 cod. pen., ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile. La crudeltà si identifica con l'inflizione all'animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre la necessità si riferisce ad ogni situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno a sé o ad altri o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga non altrimenti evitabile
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sig.ra Loredana Spadafora ricorre per l’annullamento della sentenza del 03/05/2022 della Corte di appello di Catanzaro che ha confermato la condanna alla pena di tre mesi di reclusione irrogata con sentenza del 02/03/2020 del Tribunale di Cosenza per il reato di cui all’art. 544-bis, cod. pen., a lei ascritto per aver cagionato, per crudeltà e senza necessità, la morte del gatto di proprietà della sig.ra Laura Tenuta, colpendolo ripetutamente con un bastone; il fatto è contestato come commesso in Cosenza il 19/11/2017.
1.1. Con unico motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 544-bis cod. pen.
Osserva, al riguardo, di aver dovuto uccidere il gatto che, introducendosi nella sua proprietà, aveva provocato la reazione del proprio cane pitbull che si era scagliato contro di lui. Aveva, dunque, “aggredito” il gatto per farlo uscire dalla proprietà. Il che, afferma, esclude il requisito della crudeltà e, certamente, della assenza di necessità della condotta. Si è in presenza, eventualmente, di un eccesso colposo, tuttavia penalmente irrilevante non essendo il reato punito a titolo di colpa. L’azione, prosegue, è stata posta in essere non per un sentimento contrario agli animali ma per allontanare il gatto dalla sua proprietà. Trova applicazione, semmai, il delitto di cui all’art. 638 cod. pen., reato ben più coerente con la costituzione di parte civile della proprietaria dell’animale, costituzione inconcepibile in caso di delitto contro il sentimento degli animali.
2. Il ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
3. Osserva il Collegio:
3.1. la ricorrente deduce esclusivamente il malgoverno della norma penale sostanziale, non anche il vizio di motivazione e/o il travisamento delle prove indicate dalla Corte di appello ai fini della decisione;
3.2. ne consegue che il fatto - della cui penale rilevanza si discute - è quello descritto dal giudice nel provvedimento impugnato (nel senso che il vizio di cui all'art. 606, comma primo, lett. b cod. proc. pen., riguarda l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale - ossia, la sua inosservanza -, ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto - e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto fattispecie astratta -, e va tenuto distinto dalla deduzione di un'erronea applicazione della legge in ragione di una carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, denunciabile sotto l'aspetto del vizio di motivazione, cfr. Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoè, Rv. 268404 - 01);
3.3. nel caso di specie, dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’imputata aveva bastonato il gatto, effettivamente introdottosi nella sua proprietà, violentemente e ripetutamente, inseguendolo persino sulla pianta dove aveva cercato rifugio, fino a cagionarne la morte;
3.4. la Corte di appello ne ha tratto argomento per disattendere la tesi difensiva (qui riproposta senza alcuna reale critica della “ratio decidendi”), secondo cui l’intenzione dell’imputata era quella di dividere il gatto dal proprio cane di grossa taglia, e per ribadire, invece, che l’azione era stata posta in essere nella piena consapevolezza che dalla stessa potesse derivare la morte dell’animale, come si desume dalla reiterazione dei colpi inferti e dal fatto che la condotta era proseguita nonostante il gatto si fosse allontanato dal cane trovando rifugio su una pianta (il che, secondo il Giudici distrettuali, escludeva la necessità dell’azione, e comunque della sua prosecuzione e reiterazione, e costituisce prova della gratuità e violenza dell’azione stessa);
3.5. la Corte di appello ha dunque fatto corretta applicazione della norma incriminatrice;
3.6. la nozione di "necessità" che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali di cui all'art. 544 bis cod. pen. comprende non soltanto lo stato di necessità previsto dall'art. 54 cod. pen., ma anche ogni altra situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 49672 del 26/04/2018, B., Rv. 274075 - 01; Sez. 3, n. 50329 del 29/10/2015, dep. 2016, Vitali, Rv. 268646 - 01; Sez. 2, n. 43722 dell’11/11/2010, Calzoni, Rv. 248999 - 01; Sez. 3, n. 44822 del 24/10/2007, Borgia, Rv. 238456 - 01; Sez. 2, n. 8820 del 15/02/2006, Saddi, Rv. 234743 - 01);
3.7. è stato inoltre precisato che la crudeltà si identifica con l'inflizione all'animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre la necessità si riferisce ad ogni situazione che induca all'uccisione dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno a sé o ad altri o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga non altrimenti evitabile (Sez. 5, n. 8449 del 04/02/2020, Serra, Rv. 278660 - 02);
3.8. crudeltà e assenza di necessità costituiscono requisiti strutturali della fattispecie di reato che riguardano, alternativamente, l’elemento soggettivo (l’aver agito «per crudeltà», e non «con crudeltà»; si veda, al riguardo, il diverso tenore letterale dell’art. 131-bis, secondo comma, cod. pen.) e quello oggettivo (l’assenza di necessità); tali requisiti non devono necessariamente concorrere, ben potendo l’evento morte essere cagionato senza necessità ma senza crudeltà quanto con crudeltà ma con necessità (in quest’ultimo caso, la rilevanza penale del fatto deriva dall’inflizione all’animale di inutili e gratuite sofferenze);
3.9. in entrambi i casi, l’accertamento della crudeltà e/o della non necessità dell’evento costituisce questione di fatto censurabile in sede di legittimità nei limiti stabiliti dall’art. 606, cod. proc. pen.;
3.10. nel caso di specie, con motivazione non oggetto di censure, la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza di entrambi i requisiti, avendo escluso la necessità dell’azione (essendosi il gatto rifugiato su una pianta e non costituendo pericolo alcuno né per l’agente, né per i suoi beni) e avendo ritenuto la concorrente crudeltà (in considerazione della reiterazione dei colpi);
3.11. la sussistenza del reato di cui all’art. 544-bis cod. pen. esclude la concorrente applicazione del reato di cui all’art. 638, comma primo, cod. pen., in considerazione della clausola di salvezza contenuta in quest’ultima norma;
3.12. ne deriva che il delitto di uccisione di animali di cui all’art. 544-bis cod. pen. assorbe anche il disvalore eventualmente derivante dall’essere l’animale di proprietà altrui; il proprietario, pertanto, siccome titolare di una situazione giuridica soggettiva attiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento e lesa dall’azione del reo, è certamente titolato a costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da reato;
3.13. non vi è pertanto alcuna contraddizione nel fatto che la proprietaria del gatto si sia costituita parte civile ed abbia ottenuto il risarcimento dei danni (ancorché da liquidarsi in separata sede).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa della ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.
A detta declaratoria consegue, altresì, la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile ammessa a gratuito patrocinio, nei termini indicati nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputata al rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Catanzaro con separato decreto di pagamento ai sensi degli articoli 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.