Acque.Reato di getto o versamento pericoloso di cose

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Acque.Reato di getto o versamento pericoloso di cose

Studio Volpicelli
Pubblicato da Lexambiente in Getto pericoloso di cose · Lunedì 16 Ott 2023
Acque.Reato di getto o versamento pericoloso di cose
Cass.Pen. Sez. III n. 39196 del 27 settembre 2023 (UP 3 lug 2023)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. Blasetti ed altri


Il reato di getto o versamento pericoloso di cose, previsto nella prima parte dell’art. 674 cod. pen., è configurabile sia in forma omissiva che in forma commissiva mediante omissione (cd. reato omissivo improprio), ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 novembre 2021, il Tribunale collegiale di Larino, per quanto in questa sede rileva, condannava Emanuele Maria Blasetti, Matteo Caruso e Paolo Santini alla pena di euro 150 di ammenda ciascuno, in quanto ritenuti colpevoli del reato di cui all’art. 674 cod. pen., a loro contestato per avere omesso, Blasetti quale rappresentante legale della società “Crea” che gestisce l’impianto depurativo di Termoli, Santini quale responsabile tecnico di zona della predetta società e Caruso quale responsabile del settore lavori pubblici del Comune di Termoli, di assicurare il corretto funzionamento e la necessaria manutenzione dell’impianto di depurazione, nonché di realizzare i lavori e le opere necessarie per consentire il corretto trattamento depurativo di tutti i reflui ivi convogliati prima dell’immissione nel Mar Adriatico, consentendo, mediante due appositi by-pass, posizionati in testa all’impianto, lo scarico di reflui non depurati direttamente in mare, così versando, eccedendo i limiti prescritti nella autorizzazione n. 1661 del 2015, reflui fognari e liquami maleodoranti atti a offendere e a molestare le persone, essendo avvenuti gli sversamenti anche in prossimità della costa; fatto accertato in Termoli a far data dal settembre 2015, data dell’accertamento, con condotta permanente.
        2. Avverso la sentenza del Tribunale molisano, Blasetti, Caruso e Santini, tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
        2.1. Blasetti e Santini, tramite il loro comune difensore, hanno sollevato quattro motivi.
Con il primo, la difesa contesta il giudizio sulla sussistenza del reato di cui all’art. 674 cod. pen. dal punto di vista oggettivo, evidenziando innanzitutto che, in sede di udienza preliminare, il G.U.P., rispetto all’iniziale contestazione avente ad oggetto il delitto di cui all’art. 425 bis comma 1 cod. pen., aveva già rimarcato la totale mancanza di prove relativamente all’accertamento della compromissione e/o deterioramento delle acque del mare, avendo il Tribunale ignorato sia tale provvedimento, sia gli argomenti tecnici offerti dal consulente della difesa, prof. Fazi, il quale ha spiegato che l’escherichia coli costituisce un carico organico non pericoloso per l’ambiente, precisando che tale scarico veniva effettuato in mare a una certa distanza dalla riva e a una certa profondità, proprio per contenere qualsiasi pericolo per le persone; peraltro, anche altre fonti dichiarative (come le deposizioni delle testi Antonella Cioffi e Maria Patrizia Del Tronto e le affermazioni della coimputata Cerroni) avevano fornito un quadro diverso da quello esposto nella sentenza impugnata, escludendo che vi siano stati episodi nocivi per la salute pubblica o che siano state riscontrate criticità.
Difetterebbe quindi nel caso di specie l’elemento costitutivo della fattispecie contestata, ossia l’attitudine concreta a molestare le persone, non essendo sufficiente una mera attitudine potenzialmente idonea alla molestia.
Con il secondo motivo, è stato censurato il giudizio circa l’elemento soggettivo della fattispecie di cui all’art. 674 cod. pen., rilevandosi che il Tribunale ha omesso di considerare una circostanza importante, ovvero che la proprietà dell’impianto di depurazione era ed è del Comune di Termoli, per cui la società Crea, che tra l’altro aveva un contratto di gestione dell’impianto scaduto, non poteva eseguire lavori di manutenzione straordinaria autonomamente.

In ogni caso, la società Crea ha gestito un impianto ormai vetusto con tutti gli accorgimenti possibili, aggiornando costantemente il Comune a cui, con numerosissime missive, richiedeva interventi urgenti, essendo rimasto l’ente comunale sempre inerte sino all’approvazione del progetto proposto dalla stessa Crea, poi bloccato, sebbene giunto quasi al termine, dall’imputato Caruso, il quale ha proposto in via informale una soluzione differente, priva di validazione sul piano tecnico e mai concretizzatasi in un progetto, anche perché non attuabile. È emerso in particolare dall’istruttoria che il problema principale del depuratore era dovuto a dei limiti progettuali, nel senso che l’impianto era sottodimensionato rispetto alla portata in arrivo e dunque inadeguato a gestire i carichi crescenti dovuti all’aumento della popolazione, specie nel periodo estivo.
A fronte di ciò, la proposta informale di Caruso non poteva essere ritenuta risolutiva, come invece ritenuto in maniera illogica dal Tribunale contrariamente alle valutazioni espresse al riguardo dallo stesso consulente del P.M., essendo ben più valido il progetto proposto dalla società Crea e approvato dal Comune, che si imperniava sul sollevamento degli scarichi verso il diverso impianto di Pantano Basso, al fine di decongestionare il depuratore di Termoli.

Con il terzo motivo, la difesa lamenta la mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato, evidenziando che il capo di imputazione ha rapportato espressamente la configurazione della fattispecie al superamento dei limiti contenuti nell’autorizzazione, dovendosi ritenere al più ravvisabili solo in questi i casi gli episodi nocivi idonei concretizzare l’evento del reato contestato, per cui, essendo emerso dall’istruttoria che i superamenti dei limiti sono stati rilevati fino al 14 giugno 2016, il reato doveva ritenersi estinto per prescrizione.

Con il quarto motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa del fatto che il Tribunale non ha operato alcuna distinzione e non ha offerto adeguata giustificazione circa la determinazione della pena.
2.2. Caruso ha sollevato dodici motivi.
Con i primi due, esposti congiuntamente, la difesa critica il giudizio sulla sussistenza del reato ex art. 674 cod. pen., che delinea un reato di pericolo concreto, pericolo che nel caso di specie non è stato adeguatamente provato, avendo il Tribunale trattato la fattispecie de qua come reato di pericolo astratto.
Viceversa, occorreva verificare nel caso di specie la concretezza del pericolo, accertando la presenza di batteri e la loro effettiva portata, al fine di provare l’elemento materiale del reato, stabilendo cioè se si sia verificato un pericolo per l’incolumità pubblica, tanto più che lo sversamento è da inquadrare in un’ottica di diluizione con le vaste acque marine, nonché con i vari agenti atmosferici.
Del resto, aggiunge la difesa, il semplice sversamento di liquidi contenenti una percentuale di escherichia coli non è sufficiente a far presumere una pericolosità concreta, in ragione della loro diluizione nel vastissimo mare aperto, e ciò senza considerare che lo sversamento di acque è stato ritenuto inquinante perché violava i limiti dell’autorizzazione del 16 novembre 2015, mentre l’ing. Caruso ha ricoperto l’incarico di responsabile del settore lavori pubblici del Comune sino al 4 novembre 2015, ossia prima che intervenisse l’autorizzazione violata.
Con il terzo e il quarto motivo, si contesta l’attribuzione della condotta illecita all’imputato, non potendo Caruso essere chiamato a rispondere di uno sversamento causato da un impianto viziato costruito ben prima dell’assunzione del suo incarico e il cui malfunzionamento ha prodotto liquami che hanno superato la soglia di rilevanza imposta da un’autorizzazione che non era neppure in vigore nel momento in cui egli ha cessato la propria carica, essendo anzi emerso dall’istruttoria che l’imputato, da quando si è insediato, si è adoperato alacremente per risolvere l’annoso problema della depurazione dei reflui urbani.

Il quinto e il sesto motivo hanno ad oggetto il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui non è stato considerato che la condotta dell’imputato è di natura omissiva e non commissiva, per cui il reato contestato non poteva ritenersi configurabile, occorrendo a tal fine una condotta attiva consistente in un cosciente lancio o versamento di cose ad locum, a ciò aggiungendosi che, in ogni caso, la progettazione e la realizzazione dell’opera pubblica risolutiva del problema dell’impianto di depurazione competeva non al dirigente, ma al gestore dell’impianto e all’organo politico del Comune.

Con il settimo e l’ottavo motivo, la difesa contesta il giudizio sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, rilevandosi che il reato contestato, pur se punibile a titolo di dolo o di colpa, non può tradursi in una responsabilità oggettiva, per cui nel caso di specie sarebbe stato necessario verificare non solo l’elemento materiale della condotta, ma anche la sua volontarietà, pur se non soltanto dolosa, volontarietà che nel caso di specie andava esclusa, avendo Caruso agito al fine di tutelare beni comuni, sia in termini di spesa che di salute.
Con il nono e il decimo motivo, oggetto di doglianza è il mancato proscioglimento dell’imputato per prescrizione, osservandosi che l’ing. Caruso ha ricoperto il ruolo di direttore dei lavori pubblici del Comune di Termoli a partire dal novembre 2014 e fino a 4 novembre 2015, per cui, venendo in rilievo una condotta omissiva, il reato deve ritenersi cessato il 4 novembre 2015, con la conseguenza che la prescrizione è maturata il 4 novembre 2020, dunque in epoca di molto antecedente alla pronuncia di primo grado, non potendo attribuirsi alcuna posizione di garanzia all’imputato dopo la dismissione della carica, non avendo egli alcun potere di porre rimedio alla situazione creatasi.

L’undicesimo e il dodicesimo motivo sono dedicati infine al trattamento sanzionatorio, dolendosi in particolare la difesa del diniego delle attenuanti generiche, che ben potevano essere riconosciute in considerazione del carattere marginale della violazione della regola di condotta, della condizione di incensurato dell’imputato e della sua assoluta resipiscenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

     I ricorsi sono infondati, tuttavia, avuto riguardo al tempus commisi delicti, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il reato per cui si è proceduto si è estinto per prescrizione prima dell’odierna decisione.
     1. Premesso che le doglianze difensive in punto di responsabilità sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che il giudizio sulla configurabilità del reato contestato e sulla sua ascrivibilità agli odierni ricorrenti non presenta vizi di legittimità.
Ed invero il Tribunale ha innanzitutto compiuto un’adeguata disamina delle fonti probatorie acquisite, richiamando in particolare gli accertamenti compiuti dal personale della Capitaneria di Porto e dell’Arpa Molise presso il depuratore di Termoli Porto, dove, il 12 settembre 2015, veniva riscontrata la presenza di una chiazza di colore marrone scuro emergente dal fondale marino, in prossimità della scogliera e nella parte posteriore del muro frangi flutti del porto; tale evenienza era dipesa dalla rottura della condotta del depuratore, in quanto i reflui dovevano essere rilasciati depurati alla distanza di circa due chilometri dalla costa, mentre nel caso di specie veniva rilevata una macchia fungiforme maleodorante a poca distanza anche dalla battigia frequentata dai bagnanti.
In occasione di un secondo e più esteso sopralluogo, eseguito nel novembre 2015, venivano eseguiti dei prelievi nel punto di espulsione dei reflui in mare e nel punto dove si trovava la chiazza in prossimità degli scogli; dagli esami microbiologici risultava la presenza di un’elevata carica batterica da escherichia coli, mentre il refluo prelevato dal pozzetto fiscale presentava valori rispettosi dei limiti di legge. La causa di questi risultati discordanti veniva individuata fin da subito nella immissione di reflui non depurati tra il pozzetto fiscale e il punto di rottura della conduttura allocato nei pressi della costa, all’altezza di uno o due metri di fondale, proprio in corrispondenza degli scogli.
Nel gennaio 2016 veniva eseguito poi un terzo sopralluogo, nel corso del quale veniva accertata, dopo la prima fase di grigliatura, la presenza di alcuni “by-pass”, che di regola avrebbero dovuto operare solo in caso di necessità, per deviare il flusso delle acque e superare i vari processi depurativi al fine di consentire la riparazione di eventuali guasti: il by-pass presente subito dopo la fase di grigliatura comunicava direttamente con una vasca di calma che si trova esattamente ai piedi del torrino, mentre l’impianto seguiva poi una serie di passaggi per il depuramento completo delle acque.

Tra il pozzetto fiscale di ispezione e la vasca di calma, nella quale confluivano i reflui provenienti da questo by-pass, c’era un’ulteriore vasca, per cui il pozzetto fiscale non era il punto più vicino a quello in cui venivano immessi i rifiuti in mare dopo il processo di depurazione. Il refluo by-passato giungeva quindi nella vasca di calma, dove veniva pompato all’interno di un torrino e da lì, per caduta, andava a 1.800 metri dalla costa, mentre il pozzetto fiscale si trovava a monte; ne consegue che, nella parte iniziale del percorso, la depurazione dei reflui risultava corretta ed efficace, mentre, nel punto della immissione in mare, risultava esservi un miscuglio tra il refluo effettivamente depurato e quello non depurato, che aveva subito soltanto il processo di grigliatura della fase iniziale.

Tali accertamenti sono stati poi analizzati e approfonditi dal consulente tecnico del P.M., ingegner Alessandro Iacucci, il quale ha innanzitutto evidenziato che il depuratore in questione era stato realizzato per servire una popolazione di 35.00 abitanti, il che, già a livello progettuale, rendeva la struttura del tutto inadeguata, posto che sin dal 2000 vi erano stati carichi crescenti dovuti all’aumento della popolazione residente e al flusso turistico della stagione estiva.
Già dal 2002, infatti, l’Arpa aveva segnalato le criticità agli organi competenti, suggerendo di usare maggiormente il depuratore di Pantano Basso sito nella zona industriale di Termoli, diminuendo la portata in ingresso del depuratore del Porto, essendo proseguite le segnalazioni anche negli anni successivi.
È emerso inoltre che la stessa società che gestiva il depuratore, ossia la Crea Gestioni, aveva sollecitato a sua volta gli organi comunali a intraprendere iniziative finalizzate a consentire un migliore smistamento dei reflui urbani.

Il consulente del P.M. ha inoltre evidenziato che il depuratore di Termoli Porto non è dotato di un sistema di equalizzazione delle portate e dei carichi, per cui non era possibile il contemporaneo afflusso, nella vasca di accumulo, di reflui provenienti dal ciclo di depurazione in portata non superiore a quella massima di progetto e di reflui eccedenti by-passati, nel senso che o arrivavano tutti i reflui in entrata, anche superiori alla portata massima di progetto, o veniva by-passata l’intera portata in entrata; del resto, ha aggiunto l’ing. Iacucci, nelle condizioni progettuali e di perfetto funzionamento, l’impianto di depurazione de quo poteva assicurare la depurazione di 262 mc/h indicati nel progetto, ma tale capacità teorica è ben presto venuta meno, in ragione della mancata manutenzione delle sezioni impiantistiche, prima tra tutte la sezione di ossidazione, che è risultata priva di un biorullo, mentre gli altri biorulli erano privi di supporti solidi per l’adesione e la formazione del film di colonie batteriche assicurano la demolizione delle sostanze organiche biologiche e la nitrificazione delle forme dell’azoto.

È stato inoltre rilevato dal consulente del P.M. che negli atti progettuali dell’impianto di depurazione di Termoli Porto era previsto un unico by-pass, che era giustificato sotto il profilo tecnico, in quanto, avendo l’impianto la capacità di servire una popolazione di 35.000 abitanti, il by-pass sarebbe entrato in funzione solo nei casi di temporanea disfunzione delle sezioni. Successivamente, a seguito dell’aumento della popolazione e dei problemi gestionali delle strutture depurative, la capacità di trattamento dell’impianto è diminuita e il by-pass ha avuto la diversa funzione di derivare verso il Mare Adriatico, quale corpo ricettore dello scarico, tutte le portate non depurate, che, reimmesse nel circuito dell’impianto nella vasca di accumulo, venivano scaricate a mare a distanza di 1.800 metri di distanza dalla diga foranea, unitamente alla porzione di refluo depurato, per cui il by-pass, da strumento di gestione temporanea ed eventuale delle disfunzioni delle sezioni dell’impianto, si era trasformato in un mezzo di gestione strutturale delle portate di liquami eccedenti la capacità dell’impianto.
Peraltro, in occasione del sopralluogo del settembre 2015, era emerso che, in quel periodo, lo scarico a mare avveniva attraverso una condotta sottomarina che sfociava a 250 metri dalla diga foranea, essendo ciò avvenuto a causa di una probabile rottura dell’altra condotta sottomarina, situazione che era stata già segnalata dalla società Crea Gestioni il 10 aprile 2015 agli organi competenti.

Peraltro, gli accertamenti svolti con l’ausilio del Nucleo Sommozzatori della Guardia Costiera hanno confermato che la rottura della condotta sottomarina vi era stata, a breve distanza dalla diga foranea, venendo riparata solo anni dopo.

In definitiva, secondo il consulente del P.M., l’attivazione dei by-pass, se da un lato aveva consentito di deviare i reflui direttamente nella vasca di accumulo finale, in modo da non sovraccaricare l’impianto di depurazione, dall’altro lato aveva provocato lo sversamento sistematico a mare di reflui non depurati, con carichi contaminanti pericolosi per la salute dei bagnanti e la qualità delle acque.       
       1.1. Alla luce di tali elementi, il Tribunale è dunque pervenuto alla coerente e non illogica conclusione che la presenza della chiazza maleodorante di colore marrone rilevata nel settembre 2015, in assenza di spiegazioni alternative plausibili, era ricollegabile al fatto che lo scarico a mare avveniva a breve distanza dalla costa, essendo stato lo scarico dei reflui deviato dal gestore dell’impianto nella condotta che sfociava a soli 250 metri dalla costa; del resto, la presenza della chiazza marrone si spiega solo postulando che quel liquame era stato by-passato senza attraversare le sezioni di depurazione dell’impianto.
Tale conclusione è stata avvalorata dagli esami microbiologici svolti nel 2016, nel senso che i valori non conformi rilevati sia dai campioni prelevati al pozzetto fiscale, sia dai campioni prelevati nella vasca di calma, unitamente alla mancata attivazione dei by-pass emersa dai numerosi sopralluoghi svolti, hanno rivelato che la immissione, all’interno dell’impianto di depurazione, di carichi eccedenti la capacità depurativa di progetto aveva provocato la grave inefficienza del depuratore a trattare adeguatamente portate superiori a quelle di progetto, le quali affluivano all’impianto anche in assenza di precipitazioni meteoriche di particolare intensità, come dimostrato dall’esito del sopralluogo svolto il 13 luglio 2016 dall’ing. Iacucci, sopralluogo nel quale è stata misurata in entrata una portata di 310 mc/h, superiore a quella di progetto (262,5 mc/h).

Tale grave inefficienza, dovuta all’eccesso di reflui in entrata, esisteva almeno dal 2010 e, nonostante ciò, i campioni prelevati al pozzetto fiscale sono risultati conformi ai limiti di legge sino al 2015; la spiegazione logica data dal Tribunale a tale circostanza era che i by-pass venivano sistematicamente avviati tramite lo spegnimento delle coclee di sollevamento, deviando i reflui direttamente verso la vasca di accumulo finale, per cui l’impianto funzionava solo a intervalli, che comprendevano i momenti nei quali l’Arpa Molise effettuava i prelievi.
È stato inoltre precisato che il refluo che veniva scaricato a mare senza essere stato depurato o adeguatamente depurato conteneva un carico contaminante costituito da un’elevata quantità di escherichia coli, microrganismo biologico di natura batterica proveniente dalle reti fognarie civili che, come precisato in dibattimento dal funzionario dell’Arpa Molise Cioffi, pur non avendo un impatto significativo sotto il profilo ambientale, è invece pericoloso per la salute umana e, quindi, per tutto coloro che vengono a contatto con l’acqua contaminata.
      1.2. Partendo da tali premesse fattuali, il Tribunale ha dunque ritenuto provato il reato di cui all’art. 674 cod. pen., stante lo sversamento dei reflui non depurati e ad alta carica batterica nel Mare Adriatico, a ridosso dell’area di balneazione, con conseguente pericolo per salute dei bagnanti, situazione questa delineatasi almeno dal 12 settembre 2015 e fino a epoca prossima al mese di luglio 2018, allorquando la condotta principale è stata finalmente riparata.

È stato peraltro evidenziato che anche lo scarico di reflui contaminanti a meno di due chilometri dalla costa rappresenta un fattore di pericolo per la salute pubblica, sia perché si tratta di zona di mare notoriamente frequentata da imbarcazioni di pesca o diporto, sia perché l’azione delle correnti marine, facilitata dai bassi fondali dell’Adriatico, che in quel tratto di mare non superano i venti metri, può determinare con facilità la risalita dei reflui verso la superficie.

Correttamente non è stato ritenuto necessario, ai fini della sussistenza del reato, né il verificarsi di danno per le persone, né un accertamento peritale circa l’entità dell’inquinamento, ciò in coerenza con la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 33817 del 06/10/2020, Rv. 280797 e Sez. 3, n. 971 del 11/12/2014, dep. 2015, Rv. 261794), secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di getto pericoloso di cose, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone, come avvenuto nel caso di specie, né tale attitudine deve essere necessariamente accertata mediante perizia, potendo il giudice, secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado di riferire caratteristiche ed effetti delle immissioni, quando tali dichiarazioni, come quelle dei funzionari dell’Arpa, degli operanti della Capitaneria di Porto e dell’ing. Iacucci, non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai dichiaranti.

        1.3. Non si ravvisano inoltre criticità nel fatto che il reato di cui all’art. 674 cod. pen. per cui si procede sia stato ritenuto integrato anche da condotte omissive, dovendosi dare continuità al condiviso principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 16286 del 18/12/2008, dep. 2009, Rv. 243455), secondo cui il reato di getto o versamento pericoloso di cose, previsto nella prima parte dell’art. 674 cod. pen., è configurabile sia in forma omissiva che in forma commissiva mediante omissione (cd. reato omissivo improprio), ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dalla omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.

Deve infatti ribadirsi che è illogico escludere l’applicabilità del principio di causalità omissiva nella fattispecie penale in esame, posto che quello che la disposizione di cui all’art. 40 comma 2 cod. pen. presuppone è soltanto che vi sia un evento che l’imputato ha l’obbligo di evitare, potendo questo evento essere sia di danno, sia di pericolo, come appunto nella contravvenzione del versamento di cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone. Il soggetto al quale l’ordinamento attribuisce una posizione di garanzia nei confronti dell’interesse collettivo alla salute e alla incolumità, deve dunque evitare di mettere a repentaglio quell’interesse, ovvero ha l’obbligo di evitare ogni evento di pericolo.

Ne consegue che la disposizione incriminatrice, come integrata dall’art. 40 comma 2 cod. pen., pone a carico dell’agente non solo ogni condotta attiva (generalmente dolosa), ma anche ogni condotta omissiva (in genere colposa) che provochi l’evento pericoloso, posto che ciò che rileva è il risultato da evitare, non la condotta, sicché il legislatore si preoccupa di imporre al titolare della posizione di garanzia soltanto un obbligo di risultato, indipendentemente da ogni vincolo di comportamento. In questo senso, il principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva si applica ai reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell’evento e dalla indifferenza della condotta.

Orbene, in tale categoria di reati può e deve sussumersi il versamento di reflui non depurati in mare, come anche l’emissione di vapori, gas e fumi atti a imbrattare, offendere o molestare persone, trattandosi di contravvenzioni, strutturalmente omologhe, per le quali la norma incriminatrice tende a evitare l’evento pericoloso per la salute pubblica, indipendentemente dalle modalità comportamentali (positive o negative) con cui si realizza la condotta incriminata.
Ciò premesso, il Tribunale ha legittimamente ravvisato profili di omissione quantomeno colposa a carico dei ricorrenti, osservando che, nella vicenda del depuratore di Termoli Porto, esisteva la concreta possibilità, nelle more della realizzazione di una soluzione definitiva, di dirottare la portata eccedente la capacità dell’impianto verso il depuratore di Pantano Basso, che aveva una capacità di progetto di 23.000 abitanti equivalenti e, di fatto, ne serviva solo 5.000, avendo una capacità residua non utilizzata di circa il 50% dell’intero.
Questa soluzione temporanea, pur prospettata in modo verbale e informale durante le riunioni dei tecnici comunali con i responsabili di Crea Gestioni, non fu accolta dal gestore, né venne formalizzata dal Comune di Termoli, nonostante fosse l’unico modo per contenere nell’immediato il carico riversato a mare; si trattava peraltro di un intervento qualificabile come di ordinaria amministrazione, con tempi ridotti di realizzazione (pochi giorni) e con un costo modesto (tra i ventimila e i trentamila euro) e di gran lunga inferiore anche rispetto all’intervento suggerito dall’ing. Iacucci per ottenere nell’immediato lo stesso risultato di alleggerimento del carico in entrata al depuratore di Termoli Porto.
La realizzazione di tale intervento rientrava quindi tra gli obblighi sia del gestore, che doveva individuarlo e proporlo anche nel contesto più generale della gestione della rete idrica e fognaria comunale affidata in concessione alla Crea Gestioni, sia del Comune concedente, che doveva autorizzarlo e, nell’esercizio dei poteri di controllo e vigilanza, anche imporlo al gestore in caso di inerzia, così da evitare o quantomeno ridurre di molto lo scarico a mare di reflui con carico contaminante.
Di qui l’attribuzione della condotta illecita innanzitutto all’ing. Nicola Caruso, che, quale responsabile del settore lavori pubblici del Comune di Termoli e dunque titolare del potere di vigilanza e controllo sulla gestione del depuratore, pur avendo prospettato la soluzione manutentiva prima esposta, non si attivò per superare il rifiuto oppostogli dal gestore e non adottò alcun provvedimento diretto a realizzare l’intervento che egli stesso aveva individuato e proposto, con la conseguenza che lo scarico di liquami in mare ha continuato a protrarsi.
Il reato è inoltre stato ascritto anche a Blasetti e a Santini, rispettivamente legale rappresentante e responsabile tecnico della società Crea Gestioni: rispetto a Santini, è stato infatti rimarcato che egli aveva la responsabilità non solo del depuratore di Termoli Porto, ma anche dell’intera rete idrica e fognaria di Termoli, in virtù delle concessioni di cui era titolare la società di cui era dipendente, per cui anche a Santini era addebitabile la mancata risoluzione della problematica riguardante il cattivo funzionamento dell’impianto di depurazione, con il conseguente sversamento in mare delle sostanze inquinanti, e ciò tanto più in ragione del fatto che il ricorrente gestiva il suo ruolo in maniera anche sostanziale, essendo l’interlocutore diretto della P.G. per conto della società, in occasione degli sopralluoghi presso l’impianto eseguiti dal settembre 2015 in poi.
Quanto a Blasetti, è stato sottolineato nella sentenza impugnata che egli, quale Presidente del C.d.A. della Crea Gestioni s.r.l., ha partecipato attivamente alle riunioni con i tecnici comunali preordinate alla discussione del funzionamento del depuratore, opponendosi alla soluzione proposta dall’ing. Caruso, perché ritenuta temporanea e non definitiva, non avendo tuttavia l’imputato illustrato le ragioni tecniche che rendevano non praticabile un intervento che, viceversa, si sarebbe rivelato utile, se non a impedire, almeno a contenere lo scarico dei reflui con elevata carica contaminante, in attesa della risoluzione finale del problema.
    1.4. In definitiva, in quanto preceduto da una disamina razionale delle fonti dimostrative disponibili, correttamente intese nel loro effettivo significato e correlate tra loro in maniera non illogica, il giudizio sulla sussistenza del reato contestato e sulla sua ascrivibilità ai ricorrenti resiste alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa (e invero frammentaria) del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
     2. Parimenti immune da censure è il trattamento sanzionatorio, avendo il Tribunale irrogato agli imputati la pena di 150 euro di ammenda, optando per la pena pecuniaria in luogo di quella detentiva e mantenendosi abbastanza distante dal massimo edittale, nonostante la rimarcata gravità del pericolo cagionato dal reato, per cui deve senz’altro escludersi che la determinazione della pena sia stata ispirata da criteri di eccessivo rigore o da profili di irragionevolezza, non essendo state del resto illustrate nei ricorsi le ragioni che, in concreto, avrebbero giustificato una ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio.
      3. Rimane da affrontare infine il tema della prescrizione.
Sul punto deve evidenziarsi che, pur essendo infondate le censure circa i criteri di computo della causa estintiva invocata, questa non era intervenuta all’epoca della sentenza gravata, ma è maturata al momento della odierna decisione.
In proposito deve osservarsi che, correttamente, il Tribunale ha evidenziato che il versamento pericoloso si è protratto ininterrottamente dal settembre 2015 fino a epoca prossima al mese di luglio 2018, ciò come immediata e diretta conseguenza sia del rifiuto di Blasetti e Santini di aderire alla sollecitazione informale loro rivolta da Caruso e finalizzata alla realizzazione dell’intervento manutentivo leggero che prevedeva il convogliamento dei reflui sino al depuratore di Pantano Basso, sia della decisione di Caruso di concentrare gli sforzi del Comune in funzione della realizzazione di una stazione di sollevamento definitiva, inspiegabilmente tralasciando ogni doveroso tentativo di imporre al gestore la soluzione – tampone che egli stesso aveva individuato.
La sopravvenuta cessazione delle posizioni di garanzia degli imputati (che comunque per Santini e Blasetti non è avvenuta prima del dicembre 2016), non ha determinato per nessuno l’elisione del nesso di casualità con l’evento, elisione avvenuto solo quando è entrata in funzione la nuova stazione di sollevamento.
Ne consegue che, alla data di emissione della pronuncia impugnata (9 novembre 2021) la prescrizione quinquennale del reato non era ancora maturata.
Ciò è invece avvenuto rispetto al momento dell’odierna decisione.
E invero, premesso che i ricorsi risultano infondati, ma non in maniera manifesta, occorre prendere atto che la sentenza impugnata ha ancorato la cessazione della permanenza al momento della riparazione della condotta sottomarina principale, risalente a “epoca prossima al mese di luglio 2018”.
Dunque, in presenza di un dato temporale delineato in modo non proprio definito, attraverso un limite cronologico approssimativo, il dies a quo della prescrizione deve essere individuato, in un’ottica di favor rei, nel mese di giugno del 2018, e neanche nella sua parte finale, atteso che la cessazione della condotta illecita non pare riferita agli inizi di luglio, con la conseguenza che, alla data del 3 luglio 2023 deve ritenersi maturato il termine quinquennale di prescrizione, e ciò pur a voler tener conto dell’unica sospensione intervenuta (per soli sette giorni). Da ciò discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per essere il reato contestato estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 03/07/2023


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