Acque.Contatto con sostanze inquinanti o pericolose delle acque meteoriche

Vai ai contenuti

Acque.Contatto con sostanze inquinanti o pericolose delle acque meteoriche

Studio Volpicelli
Pubblicato da Lexambiente in Inquinamento · Lunedì 22 Gen 2024
Acque.Contatto con sostanze inquinanti o pericolose delle acque meteoriche

Cass. Sez. III n. 688 del 9 gennaio 2024 (UP 14 dic 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric. Petretta


Nel caso in cui le acque meteoriche di dilavamento vengano in contatto con sostanze inquinanti o pericolose, divenendo il mezzo attraverso cui le altre sostanze vengono veicolate verso un determinato corpo ricettore, non possono più essere considerate come semplici acque meteoriche di dilavamento

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 dicembre 2022, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto dichiarava Petretta Jerry Alessandro colpevole del reato ascrittogli al capo a) della rubrica (art. 137, comma 1, d. lgs. n. 152 del 2006, per avere, quale amministratore della società MYLECO s.a.s., scaricato, in assenza di autorizzazione, in canalizzazioni destinate alle acque meteoriche con recapito finale in pubblica fognatura, acque reflue industriali non depurate prodotte dal lavaggio e dalla gestione degli automezzi in uso all’impianto della predetta società, in relazione a fatti accertati in data 15.05.2020, 8.02.2021 e 8.06.2021), condannando l’imputato alla pena, ridotta per il rito abbreviato richiesto, di 1400 euro di ammenda.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, deducendo due motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di motivazione.
In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che non sarebbero comprensibili le evidenze processuali che avrebbero consentito di pervenire a giudizio di condanna nei confronti dell’imputato, soprattutto alla luce dell’attività istruttoria compiuta successiva all’ordinanza di integrazione delle indagini disposte dal GIP a seguito della richiesta di archiviazione del procedimento. Il giudice, in particolare, sarebbe pervenuto a giudizio di condanna unicamente sulla base della natura di pericolo del reato di cui all’art. 137, d. lgs. n. 152 del 2006, ritenendo erroneamente assente l’autorizzazione prescritta dalla legge per lo scarico di acque reflue industriali non depurate in canalizzazioni destinate alle acque meteoriche con recapito finale in pubblica fognatura, acque reflue industriali prodotte dal lavaggio e dalla gestione degli automezzi in uso all’impianto della predetta società. Richiamata la sequenza degli atti procedimentali che avevano avuto luogo a far data dal primo accertamento del 15.05.2020 e dato atto della corrispondenza intercorsa con gli uffici competenti, sostiene la difesa che la società non sarebbe rimasta inerte ma si sarebbe attivata al fine di adempiere le prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza ex art. 318-ter, d. lgs. n. 152 del 2006. Il giudice avrebbe poi fatto confusione tra il sistema di depurazione proprio dell’attività svolta dalla società e quello destinato al presunto lavaggio e gestione degli automezzi, avendo le affermazioni contenute in sentenza solo carattere presuntivo non essendo state riscontrate dall’attività di indagine, attività di cui la difesa riporta alcuni stralci relativi agli esiti conseguenti alla proroga di indagine disposta dal GIP.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge.
In sintesi, nel richiamare gli esiti della richiesta di proroga indagine disposta dal GIP, la difesa sostiene che gli accertamenti disposti avrebbero avuto esito negativo, non essendo emerso alcuno scarico di acque di depurazione, né opere di canalizzazione dello scarico uscendo dalla proprietà Myleco né reperiti fanghi di depurazione dell’impianto. L’accertamento svolto avrebbe quindi avuto natura presuntiva, non essendo stata riscontrata alcuna attività di scarico illecito né fanghi di depurazione perché la società operava solo attività di trasporto ed i mezzi e i container entrano ed escono perfettamente puliti ed igienizzati dal piazzale della società che non necessita di alcun impianto di lavaggio. Richiama, a tal fine, la normativa dell'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (European Agreement concerning the International Carriage of Dangerous Goods by Road), detto ADR (Accord européen relatif au transport international des marchandises Dangereuses par Route), siglato a Ginevra il 30 settembre 1957 sotto gli auspici della Commissione Economica per l’Europa dell’ONU (UNECE), ed entrato in vigore il successivo 29 gennaio 1968, le cui norme escluderebbero quindi alcuna necessità del lavaggio degli automezzi della società, poiché è previsto che i mezzi utilizzati per il trasporto, una volta effettuato il conferimento, rientrino puliti e decontaminati presso la società, donde non vi sarebbe alcuna necessità di disporre di un lavaggio non autorizzato, non “servendo” il lavaggio dei mezzi i quali, in base alla citata normativa, verrebbero messi nuovamente su strada puliti e decontaminati. Il giudice, quindi, avrebbe commesso un errore, indotto dai verbalizzanti, i quali avrebbero dedotto l’esistenza di un lavaggio per i camion sulla base della presenza di una griglia un po’ più grande rispetto a quelle esistenti sul piazzale e che viene utilizzata saltuariamente per ispezionare i veicoli nella parte sottostante.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta in data 22 novembre 2023, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.  
In sintesi, secondo il PG, il ricorso appare inammissibile perché, dietro lo schermo della violazione di legge e del vizio della motivazione, consiste nel tentativo di ottenere da questa Corte una ricostruzione e una valutazione alternative dei fatti, precluse in sede di legittimità; di talché le censure formulate non possono essere ricondotte, neanche in via interpretativa, alle categorie dell'art. 606 cod. proc. pen.

4. In data 12.12.2023 l’Avv. Rocco Bruzzese, nell’interesse del ricorrente, in replica alla requisitoria scritta del PG, ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è inammissibile.    

2. I motivi di doglianza possono essere trattati congiuntamente attesa l’intima connessione e l’omogeneità degli stessi.

3. Il ricorso è inammissibile in quanto generico per aspecificità e manifestamente infondato.

3.1. È anzitutto generico per aspecificità in quanto non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che ha esaminato, con motivazione immune dai denunciati vizi, l’identica doglianza sviluppata in sede di merito, riproposta in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica. Il giudice di merito ha anzitutto dato atto delle emergenze istruttoria, che, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa, non sono frutto di ricostruzioni ipotetiche del tribunale ma si basano su elementi oggettivi (annotazione di PG 15.05.2020; verbale di accertamento ex art. 354, cod. proc. pen.; nota prot. 24/25 del 2.11.2020).

3.2. L'odierno ricorrente è state condannato per aver effettuato, quale amministratore legale della società "MYLECO s.a.s.", sversamento di acque reflue industriali non depurate prodotte dal lavaggio dei veicoli in uso alla società in canalizzazioni destinate alle acque piovane e confluenti nella pubblica fognatura.
Il fatto è stato così ricostruito dalla sentenza impugnata. Dall'annotazione di P.G. del 15 maggio. 2020 emerge che, nel corso di sopralluogo presso la ditta, si appurava l'assenza del provvedimento di A.U.A. “contestualmente alla presenza di un piccolo impianto depurativo di tipo industriale, asservito allo smaltimento dei reflui originati dalle lavorazioni della ditta, in particolare le operazioni di lavaggio, degli automezzi coi quali la stessa effettua trasporto di rifiuti speciali pericolosi". Ancora, nel verbale di accertamento ex art. 354 c.p.p., si rileva la presenza di "un piccolo impianto depurativo di tipo industriale che sversa a valle in un punto imprecisato ed è costituito da 3 vasche. in acciaio poste idraulicamente in serie, volte ad effettuare trattamenti chimico-fisici di sedimentazione e flocculazione; presente certificato di analisi fatte eseguire dalla Ditta in data 01/07/2019 da Laboratorio certificato attestante il rispetto dei parametri di cui alla tabella 3 all. 5 titolo III D. l.vo 152/06 e s.m.i. dell'effluente in uscita dall'impianto di depurazione; a seguito di sopralluogo effettuato presso l'Ufficio Tecnico Comune di Pace del Mela (ME), assente qualsiasi provvedimento di autorizzazione allo scarico per le acque di lavaggio e gestione degli automezzi o di qualsivoglia altra lavorazione effettuata dalla Ditta". La predetta attività di sopralluogo veniva documentata a mezzo produzione fotografica chiaramente rappresentativa dello stato dei luoghi. Poi, con nota prot. nr. 24/25 -6 di prot. 2020 del 02.11.2020, si precisava che "al momento del sopralluogo la vasca a più alto potenziale idraulico era piena quasi fino all'orlo e ciò indica che l'ultimo carico di acaro da depurare è avvenuto sicuramente meno di un giorno prima e che non era ancora stato raggiunto il volume massimo di detenzione. Quindi l'impianto di depurazione era attivo benché non fosse presente flusso di refluo depurato, in quanto al momento del sopralluogo non erano in atto operazioni di lavaggio né di raccolta delle acque meteoriche nel piazzale". Si dava altresì atto che al momento del sopralluogo, infatti, non sono state riscontrate opere di canalizzazione dello scarico che uscendo dalla proprietà della Myleco lo riversassero sul suolo o in corpo idrico ricettore a pelo libero. Si è invece rilevato che le opere di canalizzazione riscontrate apparivano avere tracce sovrapponibili a quelle oggetto dell'allegata concessione edilizia n. 13/15 rilasciata dal Comune di Pace del Mela verso la Myleco per la realizzazione della condotta di allaccio alle acque bianche comunale di c.da Tagliatore, immobile indicato al NCEU di Pace del Mela, 55 p.628. Le canalizzazioni riscontrate disimpegnavano quindi una funzione di regimazione delle acque meteoriche uscenti dal piazzale ove stazionano i rifiuti. Tuttavia, il piazzale ove stazionano in deposito temporaneo i rifiuti rilevati (tutti adeguatamente coperti e depositati in appositi recipienti o cassoni impermeabili) è il medesimo in cui vengono anche lavati i mezzi della ditta. Da ciò si è rilevato che le acque provenienti dal lavaggio degli automezzi sversano in tali canalizzazioni destinate alle acque meteoriche, con recapito finale in pubblica fognatura.
La condotta illecita che ha portato alla segnalazione all’A.G. del Peretta ex artt. 137 e 256 TUA nasceva quindi dal fatto che si era riscontrata la sovrapposizione - non autorizzata né menzionata in atti prodotti al Comune, alla Provincia, alla Regione o nell'autorizzazione ex art. 208 TUA reperita in loco - della presenza fisica di un impianto di depurazione attivo e funzionante su opere di canalizzazione tese alla sola regimazione delle acque meteoriche. Pertanto, l'impianto era in grado di sversare abusivamente il proprio refluo effluente in rete fognaria pubblica di acqua bianca, ma non sul suolo.

3.3. Così riscostruiti i fatti, ed applicata la giurisprudenza di questa Corte, il giudice ha correttamente ritenuto configurabile il reato contestato al capo a) e, nel contempo, ha altrettanto correttamente escluso qualsiasi rilievo alla circostanza che al momento del controllo effettuato i macchinari non risultassero in funzione e che non vi fosse versamento di reflui all'interno della fognatura, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del reato “anche lo scarico periodico o discontinuo quale deve ragionevolmente ritenersi quello effettuato dal Peretta nel corso dell'attività industriale, risultando irrilevante che l'impianto fosse o meno attivo all'atto del sopralluogo: nessun dubbio, invero, quanto alla provenienza dei residui liquidi dall'attività di lavaggio dei veicoli; ciò in aggiunta all'ulteriore e, già di per sé tranciante, rilievo che la presenza, all'interno dell'impianto, di acque per tipologia, composizione e caratteristiche compatibili con quelle derivanti dal lavaggio dei mezzi destinati al trasporto di rifiuti pericolosi, circostanza che rappresenta evidente e inconfutabile indice del pregresso versamento delle acque di scarto all'interno della rete fognaria”.
Il giudice, poi, con procedimento logico – giuridico ineccepibile, una volta accertata l’esistenza di un sistema di stabile collegamento tra il pozzetto di raccolta e la rete fognaria, ha verificato se tale scarico fosse soggetto o meno ad autorizzazione amministrativa, pervenendo a conclusioni assolutamente condivisibili basate sull’applicazione della normativa, anche regionale, vigente e richiamando correttamente la giurisprudenza di questa Corte. In questo senso, del tutto corretta è l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui nessun dubbio vi era che le acque reflue prodotte dall'azienda non fossero assimilabili, stante la loro derivazione, a quelle domestiche alla stregua dei parametri vigenti nella Regione Siciliana: la documentazione in atti, precisa il giudice, ha provato la derivazione di tali acque dal lavaggio dei veicoli destinati al trasporto di rifiuti pericolosi di cui, in tutta evidenza, mantenevano residui e componenti inquinanti. Ha, infine, puntualmente specificato che, se è vero che nelle acque stagnanti nelle vasche erano presenti anche acque meteoriche, andava comunque rilevato che, nel caso in cui le acque meteoriche di dilavamento vengano in contatto con sostanze inquinanti o pericolose, divenendo il mezzo attraverso cui le altre sostanze vengono veicolate verso un determinato corpo ricettore, non possano più essere considerate come semplici acque meteoriche di dilavamento (richiamando opportunamente quanto espresso nella motivazione di Sez. 3, n. 11128 del 24/02/2021, Rv. 281567, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 38946 del 28/06/2017, Rv. 270791).

3.4. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente si appalesano dunque prive di pregio, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per presunte violazioni di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 3416 del 26/10/2022, dep. 2023, Lembo, non massimata; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552).

3.5. In questo senso, peraltro, il richiamo all’attività procedimentale, agli esiti dell’attività di indagine svolta a seguito del rigetto della richiesta di archiviazione del PM su disposizione del GIP, come, del resto, il richiamo generico alla normativa ADR, si risolvono in tentativi difensivi di trascinare questa Corte sul terreno del fatto, dimenticando che compito di questa Corte non è quello di svolgere un terzo grado di giudizio di merito, sostituendosi al giudice nella valutazione del compendio probatorio – che, nella specie, non risulta essere stato travisato, come asserito in ricorso, avendo infatti il tribunale dato conto delle emergenze processuali come risultanti dagli atti delle indagini preliminari, utilizzabili a seguito dell’accesso al rito abbreviato richiesto -  ma quello di valutare se il percorso logico – giuridico seguito dal giudice nella motivazione della sentenza sia immune da vizi rilevabili in sede di legittimità.
Non possono infatti proporsi in sede di ricorso per cassazione, deducendosi surrettiziamente vizi di motivazione, censure su accertamenti ed apprezzamenti di fatto ai quali il giudice del merito sia pervenuto attraverso la valutazione delle prove, allorché questo convincimento – come nel caso di specie - sia sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici. Perché sussista nullità della sentenza per vizi della motivazione è necessario che il giudice non abbia indicato gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento o che si sia limitato ad un esame sommario o superficiale degli elementi stessi senza un'approfondita disamina logico-giuridica, o che, partendo da premesse inaccettabili, sia pervenuto a conclusioni aberranti secondo la logica comune o che abbia palesato perplessità per confusione di idee nel pervenire alla decisione adottata o che sia caduto in palese contraddittorietà, ponendo a base della decisione considerazioni tra loro inconciliabili o che sia incorso in travisamento del fatto.
Tutte situazioni che la lettura della sentenza impugnata consente di escludere agevolmente.
3.6. Ancora, soprattutto con riferimento all’insistente richiamo agli esiti dell’attività di indagine svolta su disposizione del GIP a seguito del richiesto dalla richiesta di archiviazione, va ribadito che al giudice di legittimità restano precluse la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione dei fatti e il riferimento, contenuto nel nuovo testo dalla norma citata (art. 606, lett. e), c.p.p.), per cui il riferimento agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame“ non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità, al quale rimane estraneo il controllo sulla congruità della motivazione in rapporto ai dati processuali” (ex multis, si faccia riferimento a Sez. 5, n. 19855 del 22/03/2006, Blandino, Rv. 234095 – 01).

3.7. Si osserva, inoltre, che il mero richiamo alla normativa ADR ed all’obbligo di imposto allo “scaricatore” al momento del conferimento della merce di rimuovere ogni residuo pericoloso attaccato all’esterno del mezzo durante le operazioni di scarico, ciò che escluderebbe la necessità di un lavaggio “non autorizzato” funzionale per i mezzi presso la Myleco s.a.s., è affermazione generica che muove dalla circostanza, frutto solo dell’affermazione svolta in ricorso ma non sorretta da alcun elemento di prova, che i mezzi in entrata presso la predetta società fossero tutti “puliti e decontaminati”.

3.8. Infine, quanto all’asserito errore in cui il giudice sarebbe incorso, indottovi dagli operanti, di ritenere esistente un lavaggio per i camion desumendolo dall’esistenza di una griglia un po’ più grande rispetto a quelle esistenti sul piazzale e che sarebbe utilizzata saltuariamente per ispezionare i veicoli nella parte sottostante, si tratta, all’evidenza, di una censura meramente fattuale che, ancora una volta, si presenta funzionale a richiedere a questa Corte di sostituire alla valutazione del giudice dell’elemento probatorio (esistenza della griglia più grande rispetto a quelle esistenti sul piazzale), una valutazione diversa e più favorevole nell’ottica difensiva del ricorrente, basata su una alternativa giustificazione in ordine alla funzionalità della griglia.
Deve, infatti, a tal proposito essere ribadito che in tema di ricorso per cassazione, poiché esula dal controllo della Suprema Corte la rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, non costituisce vizio comportante controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa (e, per il ricorrente, più favorevole) valutazione delle emergenze processuali (Sez. 5, n. 7569 del 21/04/1999, Rv. 213638 – 01).

4. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 14 dicembre 2023




Created by Studio Volpicelli

STUDI PRIVATI DI CONSULENZA

DOVE SIAMO
55100 Lucca
56121 Pisa


Tutti i diritti riservati 2024 ®
Torna ai contenuti