“Mi rivolgerò al giudice”: non coarta la libertà di agire del pubblico ufficiale
Pubblicato da R. Radi in Pubblico ufficiale · Venerdì 02 Ago 2024
“Mi rivolgerò al giudice”: non coarta la libertà di agire del pubblico ufficiale
di R.Radi
L’articolo 336 c.p. “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale” ha una casistica sterminata e le frasi pronunciate nei confronti dei pubblici ufficiali sono alle volte molto originali e altre volte datate del tipo: “Non sapete con chi avete a che fare” o similia.
La sentenza numero 28223/2023 della cassazione sezione 6 si è soffermata sulla frase “mi rivolgerò al giudice” e se possa assumere valenza intimidatrice e, dunque, idoneità a coartare la libertà del pubblico agente nello svolgimento del suo servizio – che va valutata esclusivamente su base oggettiva, in ragione, cioè, delle modalità e circostanze dell’azione – la preannunciata determinazione di adire il giudice.
La Suprema Corte ha ritenuto che la frase summenzionata ha una prospettazione che non ha alcuna capacità costrittiva della libertà di determinazione e di azione dell’agente pubblico a cui venga rivolta pur quando la stessa sia palesemente infondata, e, anzi, tanto più allorquando sia tale e di ciò il destinatario sia consapevole„ perdendo essa, in tal caso, ogni connotazione ritorsiva, e dunque minacciosa, anche soltanto implicita od obliqua (in questo senso, con riguardo alla prospettazione di adire il giudice civile, Sez. 6, n. 13156 del 4 marzo 2020; Sez. 6, n. 5300 del 12/01/2011, Rv. 249475
In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso il reato di cui all’art. 336 cod. pen. nella presentazione di un atto di citazione in cui si ipotizzava una responsabilità professionale a carico di un consulente tecnico del P.M., in modo da determinare una situazione di apparente incompatibilità e condizionarne la testimonianza in dibattimento.
Con riguardo alle ulteriori espressioni pronunciate all’indirizzo dei militari (“vi faccio vedere io… voi non avete capito chi sono io, non sapete con chi avete a che fare”), la giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente affermato che non integra il delitto di cui all’art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria del privato, mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali (Sez. 6, n. 6164 del 10/01/2011, Rv. 249376 in cui la Cassazione ha ritenuto non integrare l’elemento materiale del reato l’utilizzo di espressioni del tipo “ti sistemo io” e “se no te ne accorgi cosa succede”).